13 agosto 1999, Emanuele Scieri viene assassinato dentro la caserma Gamerra di Pisa, al rientro dalla libera uscita. È il suo primo giorno in quella caserma, è arrivato dal CAR di Firenze da poche ore. Al contrappello serale risulta assente, i suoi compagni di corso che hanno passato la serata con lui in piazza dei Miracoli, fanno presente che Emanuele è rientrato in caserma. Nessuno lo cercherà mai. Sul registro scriveranno: mancato rientro, ma è solo la prima di tante menzogne e superficialità. Giorni dopo, una recluta viene mandata da un superiore a pulire una discarica con una scopa. Una strana coincidenza. Lì, sotto la torre di asciugatura dei paracadute, dove sono accatastati, tavoli, sedie e materiale di risulta, la recluta troverà il cadavere di Emanuele in stato di decomposizione, è il 16 agosto del 1999, sono passati tre giorni, tre giorni tra i più vergognosi della storia delle forze armate di questo Paese. Ci sono voluti ventuno anni per squarciare un muro di omertà e di silenzi e la storia non è ancora finita. Ieri, finalmente, la Procura di Pisa ha chiuso le sue indagini e gli indagati per l’omicidio di Emanuele Scieri salgono a cinque. Ci sono i caporali Panella, Zabarra e Antico, c’è il generale Celentano, quello dello Zibaldone, quello che improvvisamente, a ferragosto del 1999, decide di partire nel cuore della notte da Livorno, dove era di stanza, per fare un’ispezione a sorpresa alla Gamerra. Un’ispezione sui generis, fatta senza mai scendere dall’auto e passando a pochi metri dal cadavere di Emanuele. L’ultimo indagato è il tenente Ramondia che secondo la Procura di Pisa, appena viene scoperto il corpo senza vita di Emanuele, prende il telefono è chiama a Roma il caporale Panella, che nel frattempo era stato mandato in licenza. Cosa si saranno detti? Non lo sappiamo ancora, abbiamo solo i tabulati. Queste sono solo richieste di rinvio a giudizio e per scrivere la parola fine a questa terribile vicenda passeranno ancora degli anni, ma, per la procura di Pisa però una cosa è evidente: non si trattò solamente di un colpo di testa di un singolo o di tre caporali esaltati e violenti, ma ci fu la copertura da parte dei vertici militari.
Le conclusioni della Procura di Pisa sono sbalorditive per due ragioni: la prima perché vengono individuate, per la prima volta, delle responsabilità da parte dei vertici militari, cosa che la Procura militare non fa; la seconda è che lo sapevamo, lo sapevamo da sempre, lo avevamo capito subito, ma prima ci dissero suicidio, malore, depressione, incidente e poi il caso venne archiviato. C’è voluta tutta la forza di volontà, il coraggio e l’amore di Isabella Guarino e di Francesco, la mamma e il fratello di Emanuele e naturalmente di Corrado Scieri, il padre, morto nel 2011; c’è voluta la testardaggine degli amici di “Verità e Giustizia” e la caparbietà, la professionalità e il grande senso delle istituzioni di Sofia Amoddio che nella scorsa legislatura, contro tutto e contro tutti, ha sfidato la Difesa, ha ottenuto quello che per vent’anni era stato negato: l’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta (voto contrario di Lega e Fratelli d’Italia), ha riaperto i fascicoli, li ha studiati, ha riportato a galla le incongruenze, le magagne nelle indagini e le scabrose omissioni. Quel lavoro certosino e meticoloso è stato consegnato alla Procura di Pisa e ha permesso al Procuratore di riaprire le indagini.
Quello che presumibilmente è successo quella notte di agosto 1999 era già ipotizzato nella relazione finale della Commissione Parlamentare, in quelle pagine c’è un affresco vivido e terribile di cosa era e come veniva gestita la Caserma Gamerra in quegli anni. Oggi sappiamo quello che quello che è successo ad Emanuele poteva accadere a chiunque altro perché nel presidio dello Stato, nella caserma di eccellenza di uno dei corpi militari più blasonati dell’esercito italiano onore e disciplina avevano ben altri significati.
Ieri, quando ho appreso la notizia, ho esultato e poi ho mandato un messaggio a Sofia. Non ci sentiamo mai, o comunque molto raramente, lei è tornata a fare l’avvocato e io scrivo per altri, poca politica, molto web. Qualche anno fa quando lei era la Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla morte di Emanuele Scieri, io ero il suo assistente parlamentare e il capo ufficio stampa della Commissione. Così, ho ripensato alle ore passate a rileggere verbali, a sottolineare, a cercare contraddizioni, riferimenti, omissioni nei brogliacci delle audizioni. Al tempo dedicato per riaccendere i riflettori e riportare il caso all’attenzione dei media nazionali, alle ipotesi, alle intuizioni, alle certezze crollate, alle incazzature e alle delusioni cocenti. A un certo punto, per la solita crisi di Governo, si profilò lo scioglimento anticipato delle Camere, significava buttare il lavoro di due anni e restare con niente in mano. Fu una corsa contro il tempo, una fatica immane, io ho fatto poco, solo il mio, però, a ripensarci oggi… che soddisfazione.