Mi ricordo che un momento prima sonnecchiavo sul divano mentre la mamma guardava uno dopo l’altro, gli episodi di The Good Fight, che è una serie legal, spin-off di The Good Wife e un attimo dopo scendevo di corsa le scale trascinando un trolley e un borsone con una targhetta a forma di orsetto con il tuo nome. Era notte fonda e non abbiamo incontrato anima viva, le strade erano deserte, a un certo punto è partita New York I Love You But You’re Bringing Me Down di LCD Soundsystem, il tempo si è sospeso e ho avuto la sensazione di raggiungere Catania in un attimo. Durante il tragitto non facevo altro che chiedere a tua mamma: “quante sono?”, “ogni quanto?”, “sono forti?”, “come ti senti?”, ed a cercare di rassicurarla: “stiamo arrivando”, le ho detto, che non avevamo nemmeno imboccato il ponte umbertino per uscire da Ortigia.
Io mi aspettavo di trovare il pronto soccorso ostetrico pieno di gente, famiglie catanesi, parenti altrui intenti a fumare, bere caffè, buttare voci e scrivere sui muri cose tipo: “oggi è nato Bred quattru chili e quattru u masculuni i papà” oppure “Sant’Agata ci ha fatto la grazia 3700 chili di amore benvenuta principessa Sharon Graziella Agatina Carnemolla”, insomma, ero preparato al peggio invece, con mio sommo stupore, non c’era nessuno. la mamma ha citofonato e l’hanno fatta entrare, io sono rimasto fuori, in una sala d’attesa vuota. Le cose sono andate per le lunghe, la mamma aveva le contrazioni ma non abbastanza frequenti e probabilmente, se fossimo stati di Catania o ci fossero state più persone in attesa ci avrebbero mandato a casa, ma non l’hanno fatto. La mamma è uscita per dirmelo, abbiamo concordato sul fatto che chiamare i nonni e farli correre in ospedale alle quattro di notte sarebbe stato superfluo, del resto, ci sarebbe voluto ancora molto tempo, ci siamo dati un bacio e poi lei è rientrata e io sono rimasto a guardia di quella porta in quella sala d’attesa vuota e anche se i dottori dicevano che ci sarebbero volute ore e mi consigliavano di andare in macchina a riposare, io da lì, non me ne sarei andato mai. Ho messo gli auricolari e iniziato ad ascoltare una selezioni di canzoni che stavo preparando per te, ho pensato ad una moltitudine di cose, alla mamma, a mia nonna Michela, a una lettera che mi scrisse mio padre per il mio primo compleanno fuori di casa, a quando suonavo ed a tutte le gioie, i dolori, le soddisfazioni e le cadute di una vita, poi è sorto il sole. Tua mamma era ancora attaccata al tracciato e allora, mi sono preso il permesso di andare a cercare un distributore automatico di caffè, ne ho bevuti due di seguito, preso una bottiglietta d’acqua e sono tornato di guardia.
In un modo o nell’altro le ore sonno passate, sono arrivati i nonni e ci siamo tenuti compagnia, ogni tanto la mamma scriveva e ci aggiornava sulla situazione. La sala d’attesa non era più vuota, c’erano un signore cingalese con due bambini piccoli ed educatissimi; un ragazzo molto giovane insieme alla suocera che avrà avuto la mia età e una signora col marito che aveva accompagnato la figlia. Poi il sole è tramontato e si è fatta sera ed è uscita un’infermiera che mi ha detto che c’eravamo e che se volevo assistere al parto dovevo indossare camice e calzari. Mi sono precipitato dentro e ho visto la mamma, stanchissima ma determinata come solo lei riesce ad essere. Mi sono piazzato accanto, quasi di trequarti e ho fatto quello che la stragrande maggioranza dei padri fa durante un parto: niente. Avrei voluto fare come nei film, tenerle la mano e dirle parole incoraggianti forse l’ho fatto, questo non me lo ricordo, l’ostetrica aveva tutto sotto controllo e la mamma era concentrata come non l’avevo mai vista nemmeno sotto scadenza di qualche causa milionaria.
Poi è stato tutto un rincorrersi di immagini indelebili ma scollegate tra loro, come se fossero state montate da un regista pretenzioso, ci sono flashback, digressioni, fast forward e cose così, fino a quando sei arrivata tu ed eri esattamente come ti avevo immaginata, avevi lo stesso profilo di una delle prime ecografie che avevamo fatto, l’unica che avevo fotografato e che tenevo nel telefono. Ma la cosa che mi ha colpito di più sono state le tue mani, con le dita così affusolate, minuscole e perfette. Sei stata per qualche minuto abbracciata alla mamma e poi ti hanno portato via per adagiarti in una specie di scaldavivande, che mi ricordava quegli aggeggi delle colazioni degli alberghi dove tu inserisci la fetta di pane e il nastro inizia a girare e ti consegna il prodotto mediamente tostato e tu sei costretto a prendere la fetta e a farle fare un altro giro mentre, dietro di te, si forma la coda di persone impazienti. Io ti ho seguita e ho assistito impotente mentre una dottoressa arrivata dal nulla, ti bucava il tallone per lo screening neonatale e poi ho risposto a una specie di questionario:
– Nome?
– Emiliano
– Non il suo, quello della neonata.
– Mi scusi, Bruna.
– Padre?
– Io
Insomma, cose così, al limite del surreale e tua mamma, dalla sala operatoria, mentre le davano dei punti, rispondeva correttamente, ad alta voce. Questa è materia sua, io la conosco, le sarà venuto in mente qualche codicillo o un precedente in una sentenza che avrà letto per caso e avrà pensato: metti che questi per un errore nelle risposte mi levano la bambina.
Non è successo e dopo qualche giorno siamo tornati a casa ed eravamo in tre. Abbiamo iniziato a conoscerci e scoprirci, giorno dopo giorno e anche se questo è stato un anno complicato per tutti, con la gente chiusa in casa, le paure, le sofferenze e la socialità ridotta ai minimi termini, a me non è pesato, perchè stare con te e la mamma, osservare i tuoi progressi, scoprire la tua personalità in divenire è stato meraviglioso. Mi sarebbe piaciuto portarti in giro, viaggiare, frequentare i nostri amici che praticamente nemmeno ti conoscono, ma lo faremo, non ti preoccupare, nella vita bisogna anche saper aspettare.
Sono quasi le sette e tra poco vi sveglierete e io non voglio perdermi nemmeno un minuto di questo giornata. Ti auguro di avere sempre la vitalità e la curiosità di questo primo anno insieme e che possa essere felice, anzi, come dice la nonna Teresa, che tu possa impegnarti ad essere felice. Non sarà sempre facile, dovrai dedicarti tanto e imparare a vivere le emozioni, belle o brutte che siano, nella giusta misura. La vita è un viaggio – e anche se questa è una metafora abusata – io ti auguro lo stesso di esplorare e di scoprire sempre posti nuovi, in giro per il mondo, in un libro, una canzone, una persona o una passione. Io e tua mamma, finché potremo, saremo sempre pronti a sostenerti, a darti consigli non richiesti, moniti, rimproveri e tutto il corollario di avvertimenti che ti faranno imbestialire. Così vanno le cose, ma per questo c’è ancora tempo.
Ecco, ti sei svegliata, sei in piedi dentro la culla e sorridi, hai sempre sorriso, la mamma ti sta cantando “Perchè è una brava ragazza” ma tu hai già adocchiato il computer e stai dicendo “Babran, ba ba ba”, è un segnale inequivocabile, chissà da dove nasce questa tua passione per i Beach Boys. Le note di Barbara Ann hanno riempito la stanza e stiamo tutti cantando e ballando in pigiama.
Buon Compleanno amore mio
Il tuo papà
