Cena Fuori

– Veramente mi vo fari manciari u panino ca mottadella?

– Viri ca è a piadina…

– A nun era megghiu na canne e sbizzero?

– Maria! Savvo, viri ca ogni tanto pò canciàri… sempre stu cavaddu…. cavaddu e pollo, pollo e cavaddu. Manciati sta piadina, facci mettere u squacquerone, viri ca è bona!

– Ma quale sqaccherone! A mia sti cosi nu mi piaciunu. Mi fazzu puttari i patatine…

– Fosse non le fanno…

– Mancu i patatine fanu… 

– Creto di no…

– Non ci pozzu cririri!!! Ma unni ma puttatu!?!?

Teatro comunale: la proposta dei ristoratori

Va deserto il bando per la gestione del Teatro Comunale. La proposta dei ristoratori: struttura Inutile e infruttuosa, facciamone un parcheggio multipiano gratuito per i clienti dei nostri locali. Intanto, è prevista per oggi la cerimonia solenne per celebrare il terzo anniversario della prematura scomparsa di Odoacre De Grittis, il tenore novantacinquenne deceduto nella sua casa di Roma. Nonostante fosse considerato uno dei più fulgidi talenti della sua generazione, Il maestro De Grittis non si era mai esibito su un palcoscenico per colpa di un contratto firmato nel 1957 che lo legava in esclusiva al Teatro Comunale di Siracusa.

Eh… l’amore

Il signor Loforte, il mastro che mi sta rifacendo il bagno, ha intonato gioioso, per quasi due ore consecutive, “Così piccola e fragile”, il capolavoro di Drupi e “Più bella cosa” la hit di Ramazzotti. La cosa mi è sembrata bizzarra perchè nei due giorni precedenti il Mastro era stato schivo, di poche parole, molto concentrato sul lavoro e per nulla propenso a distrazioni di qualsiasi tipo. A fine giornata, senza proferire parola, mi indicava con la mano le cose fatte: il nuovo scarico, la cassetta della luce, il rasante. Del resto, quando chiesi al titolare dell’impresa a cui ho appaltato i lavori, che confidavo in un intervento pulito e indolore, lui mi aveva risposto: “Cetto! Le manto Loforte: grante esperienza, preciso, pulito e assistimato. Manco l’acqua ci chiede.”. Ora, per me quello dell’acqua non sarebbe stato un problema, volevo solo assicurarmi che, visto che io in quella casa ci lavoro, i disagi sarebbero stati minimi. L’appaltatore non si è scomposto: “Loforte iavi quacche sessantatrianni, ci fazzu fari sulu i cosi puliti puliti… travagghia bonu e si sta muto”.  Ho aspettato che Loforte facesse una pausa e l’ho raggiunto sul balcone mentre si stava gustando a pieni polmoni una MS mild, mi sono avvicinato e gli ho detto: “Com’è signor Loforte, stamattina siamo felice e gioiosi?”. Lui mi ha sorriso timidamente e ha detto: “Eh…l’amore.”.

Rebulding Panino

Carrozza del Senato, si cambia con il progetto “Rebuilding panino”. Dopo il restauro meticoloso, il prezioso cocchio settecentesco sarà dotato di piastre a gas e di vetrinette per i condimenti e affidato per venti anni – previa gara europea – ad un imprenditore dello street food. L’idea – – spiega il Sindaco Italia – oltre a fornire un nuovo punto di ristoro mobile per le serate di gala e gli eventi istituzionali, è quella di arricchire il legame indelebile tra passato e presente, tra sassa e mayoness, tra cavallo da tiro e cavallo e sbizzero. Grazie al restauro, la Carrozza tornerà anche a sfilare nella processione della Santa Patrona con un menù ad hoc e gluten free.

Latri Tutti – il glossario sui commenti al rimpasto di giunta

– Vi siete mangiati tutte cose dimettitti Siracusa Calcio sei il sindaco più vergogno della storia Aretusea

– Senza iabbu

– Peri posto fisso questi si pono inventare la qualsiasi no che poi ci diconon che non ce lavoro opure sooldi che invece i soldi per le casse di questi in banca si trovano sempre guarda unpo

– Buffoni vi ano manciari i cani

– Ritono perché ora si vanno a manciare la citta

– Coi soldi delle tompe pagano a sti curnuti

– Minchia di inciucio merde bastardi

– Belle faccie ciavete ma non ve lo dico a c’he cosa asso migliate picchi poi mi fate unattra denuncia

– Sucasimmula ah ah ah ahh

– Quacche uno lo sa quanto si prendono queti signori ho misi?

– Facetevi un giro a siracusa oppure pedate nel culo mbrugghiuni

– Poltrone e sofà esperti di sta minchia qua

– Ma che fine gli anno fatto faer a povero randazzo aquestora se lo sono giocato con qualche scusa e trucco

– Ogni volta che vedo Granata il cuore mi si fa piccolo piccolo

– Burti pare bravo il più bestia è coppa

– Ora se ne vanno a bibi ano in gita col PD

– C’è uno che ha delega ai cambiamenti climatici… è il momento di sciogliere il comune

– Sempre che cercano soldi senza dignita

– Chi su beddi… i tri tabbutari ro cimitero veggoggna

– Inciuccio bastardi viva la leca

Toto Nomine Vermexio

Toto assessori, in lizza anche Savvuccio detto “manu lonca”, il posteggiatore abusivo e ricettatore in corsa per le rubriche viabilità e bilancio. Quasi fatta per la manager e consulente d’impresa Concettina Ignoffo Sparatore. La Ignoffo Sparatore ha costruito la sua fortuna fornendo il know how per l’allestimento dei banchetti in mezzo alla strada per i boat tour e le visite alle grotte marine, a lei le deleghe al commercio e alle attività produttive.

Street Control

Giro di vite contro i fancazzisti: la Municipale si dota dello “street control”, una telecamera montata a bordo di una pattuglia di Vigili urbani aiuterà a smascherare i colleghi e gli ausiliari della sosta fermi in macchina a cazzeggiare con il telefonino. Insorgono i sindacati! 

Un sacco di tempo

Quindici anni sono tanti, un sacco di tempo. Certamente ero una persona diversa: altri interessi, altre aspirazioni, altre città. La musica occupava il novanta per cento della mia esistenza e scandiva inesorabilmente la mia vita, per cui me lo ricordo bene quando nell’inverno del 2004, a Radio Fujiko, Bologna, arrivò in redazione il pacco della Self. Dentro c’era lui: Funeral, il primo, immenso album degli Arcade Fire. L’avevamo ordinato perché di loro si parlava con sempre più insistenza come della punta di diamante della nuova scena canadese che in quel periodo sfornava band validissime come gli Stars e i Broken Social Scene e i New Pornographers. Era vero, l’album era strepitoso e lo è ancora, nel tempo, non ha perso smalto.

Sebbene gli Arcade Fire fossero parecchio distanti dall’indie rock sgangherato che ascoltavo all’epoca, era impossibile non rendersi conto che dietro quella cassa in quattro si nascondevano paesaggi sonori e scelte timbriche notevolissime. Neighborhood#1 (Tunnels), la prima traccia dell’album, racchiudeva già in potenza – con quel suo incedere cadenzato, il crescendo da antologia e quel leitmotiv melodico che torna di volta in volta affidato a chitarre, violini e voci – forza creativa e spiccate capacità comunicative.

Fu amore a primo ascolto: la loro musica ancora oggi, continua ad accompagnarmi e a suscitare sentimenti e sensazioni sempre più mature e complesse. Del resto, gli Arcade Fire sono stati molto affidabili e a parte qualche sbavatura, hanno continuato a sfornare uno dopo l’altro degli album tra l’eccezionale e il molto buono (Neon Bible, The Suburbs, Reflektor, Everything Now).

Dal vivo poi sono una forza della natura: dall’intimità di Piazza Castello a Ferrara alla magnificenza del Barcleys Center di Brooklyn, fino all’atmosfera rarefatta del concerto nel bosco del Kindl-Bühne Wuhlheide di Berlino, ogni volta che ho avuto il piacere di vederli live, ho assistito a qualcosa di unico e indimenticabile.

Il tempo è passato inesorabilmente, nel 2004 avevo 27 anni, tante idee confuse e bellissime per la testa, suonavo il basso in giro per l’Italia, conducevo un programma radiofonico. Oggi la prospettiva è cambiata, certo, non ci sarà più la radio, non ci saranno le tournée in giro per l’Italia, ma per dinci, si potrà continuare a cantare Wake Up a squarciagola e sentirsi in pace con il mondo.

 

36 ore, Mr. Lo Bello e il New York Times

In effetti ormai è proprio così, c’è un tempo limite, due giorni al massimo, non un minuto di più. Al di là dei gusti soggettivi sui ristoranti dove cenare, i bar dove bere un drink e sulle bancarelle dove acquistare il magnete de “Il Padrino”, il pezzo sul New York Times, per me, ha centrato il punto: 36 ore per ammirarne la bellezza mozzafiato, le architetture barocche e la pietra bianca; 36 ore per perdersi tra i sui vicoli, percorrerne uno a caso e ritrovarsi d’incanto davanti a un tramonto spettacolare o a un alba rigenerante; 36 ore per immergersi nelle acque diafane che la bagnano e poi fuggire via, a gambe levate, scappare il più lontano possibile dai rifiuti, dal puzzo e dagli olezzi, dalla maleducazione, dalla disorganizzazione, dalla disperazione e dall’anarchia di Siracusa, la città vittima di sè stessa.

36 ore sono il limite entro il quale la bellezza ancestrale del luogo riesce ancora ad abbagliare e nascondere tutto il resto: le magagne, le incongruenze, la mutazione antropologica e sociale di un intero quartiere, il suo lento agonizzare tra i tavoli e le sedie spaiate di un dehors e le auto lasciate in doppia e tripla fila.

Quando ho finito di leggere l’articolo, ho pensato al Signor Lo Bello e alla dedizione con la quale, una volta a settimana, esce dal basso in cui vive da cinquant’anni insieme alla moglie: in una mano regge una scaletta, di quelle basse, leggere, d’alluminio; nell’altra, un secchio che contiene quattro dita d’acqua, una pezza e una spugna. Il Signor Lo Bello raggiunge l’angolo della strada e posiziona la scaletta sul marciapiede con le mattonelle saltate via e mai più ripristinate. Con estrema lentezza – il Signor Lo Bello è un uomo anziano – si issa fino al terzo e ultimo gradino, quello più largo, tira fuori dalla tasca sinistra una chiave e con la mano destra apre la vetrinetta in ferro e vetro di una edicola votiva e inizia a pulire meticolosamente un ritratto di S. Lucia. Non so che detergente utilizzi ma quando finisce, tutto intorno profuma di pulito. Deve essere una cosa di famiglia, un segreto di sua moglie, perché anche la Signora Lo Bello non scherza in termini di pulizia. Anzi, quando fa il bucato e lo stende al sole nella piccola corte comune è come essere in paradiso, un profumo antico, inebriante e celestiale si infila sotto gli infissi di casa come un balsamo per l’anima. È un profumo che porta con se ricordi d’infanzia, è semplice ma fiero, armonioso e persistente.

Comunque, da un giorno all’altro, accanto all’edicola votiva, è stata posizionata – bucando la facciata del palazzo – la griglia del tubo di scarico della cappa dell’ennesima friggitoria. La griglia è maestosa e butta fuori i fumi maleodoranti di una cucina turistica con troppo aglio. Un’altra cosa fa la griglia: unge in maniera irriverente – anche per me che non sono credente – il vetro dell’edicola. Un brutto colpo per il Signor Lo Bello che da uomo d’altri tempi qual è, non si è nemmeno chiesto se l’insulso sfiatatoio sia stato autorizzato da qualcuno o se sia stata una “spittizza” del geometra e del ristoratore, del resto, sa benissimo che difficilmente qualcuno verrà mai a controllare, così, per non venire meno alla sua devozione genuina, ha deciso di ovviare al problema pulendo quel vetro e quell’immagine ogni mattina, puntuale, alle 6:45.

Ecco, alla To Do list del New York Times avrei aggiunto solo questo: Saturday, 6:45 a.m – Mr. Lo Bello and the holy box.

Chissà che storia c’è dietro a questa devozione. Mi sono sempre ripromesso di chiederglielo, ma poi non lo faccio mai, non vorrei rimestare brutti ricordi o avvenimenti spiacevoli della sua vita, non so, magari invece non è niente, magari è solamente il suo contributo, piccolo ma inestimabile, alla tutela e alla sopravvivenza di questa città.