Tra monologhi inquietanti, tempi dilatati come in 2001 Odissea nello Spazio, carrelli dei fiori abbandonati dopo la prima puntata, distanziamenti di sicurezza sciolti in baci e abbracci, Ibrahimovic, la Vanoni, Zarrillo e Vallesi (Oh, La forza della vita, live alle 2 di notte è come ricevere una randellata sui denti) anche la settantunesima edizione del Festival di Sanremo è terminata tra gli applausi. A vincere, i Maneskin. Colapesce e Di Martino, i miei preferiti, sono arrivati quarti e si sono visti assegnare il premio Lucio Dalla, dalla Sala stampa. Un risultato sbalorditivo per i due ragazzi siciliani che con “Musica leggerissima” hanno portato al Festival un brano che, ascolto dopo ascolto, ha evidentemente fatto breccia in un pubblico che li conosceva poco. Orecchiabile, ballabile, prodotto stilisticamente ineccepibile, come altri che avevamo avuto modo di ascoltare nei lavori più recenti dei due. Nel video con il falso spoiler dei vincitori del Festival (divertentissimo, se non l’avete visto, guardatelo qui), davano per certo un loro quinto posto, ultimo Renga e premio della critica ad Aiello. Si sono sbagliati, è andata ancora meglio. Per loro, ovviamente.
Al di là dell’aspetto puramente musicale, delle scelte sonore, della mossetta (parà parà), del balletto, la ragazza sui pattini, gli outfit Dolce & Gabbana, gli arrangiamenti, le citazioni volute e involontarie, “Musica leggerissima”, oltre ad una freschezza contagiosa, aveva dalla sua un testo che faceva la differenza. Non la solita storia d’amore sanremese – anche se molte ce le ricordiamo ancora – né quei finti attacchi al sistema, no, niente di tutto questo, le parole di Colapesce e Dimartino sono una fotografia nitida e definita dei nostri tempi, uno scatto che mostra sotto una leggerezza superficiale, disillusione e disincanto.
Ma quest’anno più degli altri, Sanremo non è stato solo il festival della canzone ma qualcosa di più. Vuoi per il teatro vuoto, vuoi per il calo di ascolti della tv generalista, vuoi per entrambe le cose messe insieme, il Festival ha avuto il suo palcoscenico più grande sui social, dove l’hashtag #Sanremo2021 ha generato milioni e milioni di discussioni, post, tweet e thread come mai era successo prima. Il fatto è che una canzone da sola, per quanto bella non basta più, nemmeno a Sanremo. Ci vuole di più, ci vuole tutto un contorno, la costruzione di un personaggio, la comunicazione, foto, video, i social. Buona parte di partita si è giocata su questo campo e ad avere la meglio sono stati quelli a loro agio con queste dinamiche. Prendete Fedez e la Michielin, fino a l’altro ieri erano praticamente spacciati, poi, Chiara Ferragni – che è una che due tre cose sui social e sul marketing le conosce – ha cominciato a chiedere ai suoi ventidue milioni e rotti di follower di votare il marito e di taggarla nelle stories di Instagram perchè lei se le stava andando a vedere una ad una, le commentava e le condivideva e la gente è letteralmente impazzita.
Pensate ai personaggi più discussi del Festival, pensate ai vincitori, i Maneskin, pensate ad Achille Lauro, sono giovani e prestanti, anticonformisti, belli e dannati come il Dylan McKay – buonanima – di Beverly Hills 90210 ma a differenza dei ragazzi delle colline che si telefonavano o si vedevano al Peach Pit di Nat Busicchio, questi usano Tik Tok e la loro platea è sconfinata. Ma vi immaginate cosa avrebbe potuto combinare Dylan ai suoi tempi se avesse avuto dei profili social?
Anche Colapesce e Dimartino si sono mossi molto bene in questo ambito: il video spoiler citato prima, il videoclip di “Musica leggerissima”, che è un viaggio nel mondo di Wes Anderson e un grande omaggio alla storia del Festival di Sanremo, sono stati due elementi che hanno focalizzato l’attenzione del pubblico. Ma è ieri che i due hanno dato il meglio di loro con una maratona social che nemmeno lo staff di Obama nel 2009: delle stories su Instagram nelle quali chiedevano aiuto per il televoto e taggando tutti. Kim Kardashian, Cristiano Ronaldo (a noi Ibra non ci ha convinto mai gli dice Lorenzo), gli U2, Gianluca Vacchi, Cristiano Malgioglio e la stessa Chiara Ferragni. A questi si sono uniti spontaneamente gli endorsement più eterogenei: Filippa Lagerback, Nicola Savino, Baronciani, Eros Ramazzotti, Gianni Morandi, Enzo Miccio, quello dei matrimoni, Brunori SAS, la Lucarelli, perfino Gaia – che in classifica è arrivata diciannovesima – ha partecipato alla maratona confessando di volere Colapesce e Dimartino come social media manager.
Insomma, vedete voi, ma Sanremo è cambiato, non ci sono più i mostri sacri di una volta, sarebbe impensabile immaginare un nuovo impressionante filotto come quello di Toto Cutugno che si piazzava sempre secondo. Al di là delle canzoni, chi sta al passo coi tempi vince, chi non mastica di social, chi balbetta, arranca anche in classifica.
Una menzione speciale però va a Orietta Berti che ha mostrato l’attitudine più punk di tutti, una consapevolezza di sé che nemmeno Siddharta, ha indossato tuniche spaziali come Sun Ra, cantato una canzone orrenda anche a suo dire, allagato una stanza d’albergo come Frank Zappa e generato una quantità di meme senza precedenti. La chiusura del cerchio.

Ciao! Ritengo che sia la canzone più orecchiabile del Festival
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