Sono 71 e sono formazioni complete, squadre di calcio, composte ciascuna da 11 nomi e trascritte a penna in 71 foglietti numerati. La particolarità? Non sono campioni, non sono nemmeno calciatori, sono 781 cognomi messi insieme in base a precisi parametri. Queste formazioni hanno una cosa in comune: suonano bene. Leggendole scorrono fluide come la melodia nelle opere di Puccini, come il vibrafono di Milton Jackson quando parte lo swing, come Celine che scrive a Molly in Viaggio al termine della notte. I cognomi li raccoglievo con mio padre e poi lavoravamo di cesello, affinavamo, spostavamo, sostituivamo fino a ottenerne l’armonia che stavamo cercando, la cadenza perfetta. Provenivano da vari contesti: mi iscrivevo al nuoto alla Cittadella dello Sport? Bene, squadra con i compagni di corso. Oppure, i pazienti di mio padre di via Bainsizza e via Isonzo o ancora, squadra di tutti quelli che conoscevamo che guidavano la Fiat 127; quelli che facevano le vacanze in Camper o Roulotte, i colleghi di mia madre al Gargallo, gli avventori del Bar di largo Dicone, e via dicendo. Era una faticaccia, ma col senno di poi, un’opera monumentale, enciclopedica, d’avanguardia, una cosa che manco Diderot e D’Alembert, un patrimonio incommensurabile, un deposito araldico e genealogico senza precedenti che avremmo dovuto donare a Carmelo Bene e poi vedere cosa ci avrebbe tirato fuori.
Come Paperon de Paperoni anche noi avevamo la nostra “Numero 1”, la prima, l’inestimabile, la preferita, il mantra, quella da cui tutto ebbe inizio e che ancora oggi, come un vecchio vinile, suona da Dio e fa così:
Patanè (C),
Agosta e Bonaiuto,
Scirè, Bazzano e Micalizzi,
Tinè, Calì, Alì, Miccichè e Campailla.
Grazie a tutti, sipario.
