Ho come l’impressione che negli ultimi anni, antropologicamente, la tipologia di turisti che approda a Siracusa si sia modificata in peggio e con essa – ovviamente, le due cose sono in strettissima relazione – anche la qualità dei servizi. Come se la città attraesse con maggiore forza sempre più cafoni da ogni parte del mondo e la famiglia scandinava – per fare un esempio – sia stata soppiantata dalla comitiva di torpi griffati D&G. Te ne accorgi dalle macchine a noleggio in doppia fila o sugli scivoli dei disabili, dalla spazzatura non differenziata davanti al basso adibito a casa vacanze, dalle foto in cinque aggrappati alla colonna del V secolo. Lo so che si tratta di un punto di vista parziale, ma nel mio microcosmo di relazioni, nessuno vuole più venire a Siracusa, nessuno si sogna di farlo. Pur amando questi luoghi, hanno imparato a odiarli profondamente. Preferiscono prendere una casa vicino al mare, fuori dai centri affollati, più isolata possibile. Non vanno più a cena fuori , non fanno più shopping nei negozi di Ortigia ma si limitano a comprare pesce azzurro, pomodori, cucunci e qualche bottiglia di vino. Sono in vacanza a Siracusa ma è come se fingessero di essere altrove e quando li chiami per invitarli e dici “andiamo a mangiarci una pizza a Ortigia?” loro si mortificano e ti dicono “no, no Ortigia no, per favore, soffriamo troppo a vederla ridotta così, venite voi qui, Hans Christian ha imparato a fare il masculino a cotoletta”.
Quando nei post con le clip promo scrivo l’attesa è finita, i miei cari mi fanno subito notare: “ma chi lo sta aspettando?”. In effetti nessuno, per questo al titolo Eureka!, ho voluto aggiungere” lo show di cui nessuno sentiva la mancanza”. Comunque, la prima puntata con ospite il sindaco di Siracusa Francesco Italia è stata registrata e noi ci siamo divertiti tanto. Se ne avrete voglia, la potrete vedere stasera, mercoledì 18 gennaio, alle 19:00 sulla pagina Facebook e sul canale YouTube di TamTam Tv Siracusa e naturalmente su tutti gli account pitacorici. Ci tengo a ringraziare “a me squatra”: Antonio Lucchesi, Simone Vitale, Giuseppe e Leonardo Saglimbene, che mi hanno dato conto e supportato idee, intuizioni e capricci.
La città era una bolgia con le auto parcheggiate in terza fila, di Vigili Urbani nemmeno l’ombra e io dovevo andare alla presentazione di un libro e stava anche piovendo e fino a qualche tempo fa avrei accostato la macchina, fatto scendere Donatella e Bruna e sarei andato a parcheggiare a casa di Cristo, sulle strisce blu, pagando il parcheggio con l’App, invece siccome mi sono davvero stufato di vivere in una città senza regole, dove ogni angheria è permessa e i fessi siamo noi, ho fatto una suggestiva inversione ad U e quello dietro ha suonato il clacson come a dire: “Mpare, chi sta cumminannu?” e io ho abbassato il finestrino e ho detto “Statti cammo, un minuto ca truvai u posto!”. E lui ha capito immediatamente e mi ha fatto un cenno con la mano come a dire “scusa” e poi il pollice alzato a dimostrare totale empatia ed io ho fatto qualche manovra e poi ho piazzato la macchina lì, in divieto di sosta, davanti alla libreria, come farebbe un Supersiracusano. E mentre dentro tutti si divertivano e facevano foto coi bambini e con due enormi pupazzi di nome Polpetta e Mirtillo io mi martoriavo dentro, pensando al gesto vile e spregevole che avevo compiuto, per di più davanti a mia figlia. Poi ad un certo punto ho visto fare capolino un’auto della Municipale e ho pensato: “meno male, adesso sarò costretto a spostarla”, invece quelli sono passati dritti e io ho cercato lo sguardo dell’agente seduto a destra e per un attimo ci siamo fissati negli occhi e si vedeva benissimo che avevo la faccia colpevole e che avevo commesso un’infrazione ma lui mi ha sorriso si è rimesso a giocare col telefonino.
– Midolo: Mi scusi, volevo chiederle per quale motivo mi ha messo quattro. Mi aveva detto che l’interrogazione era andata bene e l’ha detto anche a mia mamma al ricevimento genitori.
– Artale: Eh… Mitolo, ma con una sola interrogazione… eh… chi putemu fari… a nenti, questo quatrimestre è andato così. Appoi vediamo… ah, a-anti.
– Midolo: No, mi scusi, non ho capito…
– Artale: Eh, Mitolo, facemu accussì… tu consideralu siei.
– Midolo: (ironico) Ma come consideralu siei, professore, ma che vuol dire?
– Artale: Ti sto ticento, consideralu siei.
– Midolo: Professore, ma io a mio padre che gli dico: papà, è quattro ma tu cunsideralu siei?
– Artale: Bih, Mitolo, ora basta. I voti del primo quatrimestre sono così. A-anti. Per esempio: la signorina Saia è una signorina da otto… ma non è che c’ho messo otto io…
– Saia: Professore Artale?
– Artale: Tì?
– Saia: Guardi che mi ha messo otto.
– Artale: (stupito) Ma quannu?
– Midolo: Ha visto? Ma allora ce l’ha con me?
– Artale: Ma chi sta ricennu! A-anti, ora basta.(Poi, improvvisamente e con foga, voltandosi verso l’alunno Rizzo) Rizzo, tomani ni virieumu, domani t’anterrogo.
– Rizzo: (esterrefatto) Professore ma io non sto dicendo niente! Ma perché se la sta prendendo con me!
– Artale: A mia m’antaressa. Tomani nì viriemu! U nibbuso mata fattu venere. Cose ti pazzi… Ora basta. Che avete dopo?
– La classe: Educazione fisica
– Artale: E allora ripassatevi l’educazione fisica. A-anti.
Il tramonto sotto la Fonte Aretusa è sempre mozzafiato e ieri mentre procedevo lungo quella stradina che porta alla Villa Aretusa, con i suoi alberi secolari, i banchetti dei boat tour e il pungente odore di guano, ascoltavo in cuffia il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Liszt e proprio tra la fine del secondo movimento e l’inizio del terzo, uno dei picciuttazzi appostati con enormi canne da pesca alla ringhiera del lungomare ha tirato su un pesce mazzone piccolo e tozzo. La delusione sul suo viso di quattordicenne era evidente e gli altri ragazzini con le canne da pesca – forse perchè lui si era vantato che avrebbe pescato un dentice di 20 chili – hanno cominciato a ridere e a sfotterlo. Allora lui, con il mazzone ancora attaccato all’amo ha zittito tutti e rivolgendosi agli altri e ha detto: “Chi fazzu, ciù rialu a stu niuru, accussì su mancia stasira?”. Nell’accezione specifica, “u niuro” in questione era un ragazzo cingalese con un tavolino dotato di ruote, tipo carretto, sul quale esponeva un campionario merceologico da fare invidia al Floresta dei bei tempi. Il commerciante cingalese, senza scomporsi, ha guardato i picciuttazzi con sufficienza e ha detto: “tu azziccare no culo”.
Sono 71 e sono formazioni complete, squadre di calcio, composte ciascuna da 11 nomi e trascritte a penna in 71 foglietti numerati. La particolarità? Non sono campioni, non sono nemmeno calciatori, sono 781 cognomi messi insieme in base a precisi parametri. Queste formazioni hanno una cosa in comune: suonano bene. Leggendole scorrono fluide come la melodia nelle opere di Puccini, come il vibrafono di Milton Jackson quando parte lo swing, come Celine che scrive a Molly in Viaggio al termine della notte. I cognomi li raccoglievo con mio padre e poi lavoravamo di cesello, affinavamo, spostavamo, sostituivamo fino a ottenerne l’armonia che stavamo cercando, la cadenza perfetta. Provenivano da vari contesti: mi iscrivevo al nuoto alla Cittadella dello Sport? Bene, squadra con i compagni di corso. Oppure, i pazienti di mio padre di via Bainsizza e via Isonzo o ancora, squadra di tutti quelli che conoscevamo che guidavano la Fiat 127; quelli che facevano le vacanze in Camper o Roulotte, i colleghi di mia madre al Gargallo, gli avventori del Bar di largo Dicone, e via dicendo. Era una faticaccia, ma col senno di poi, un’opera monumentale, enciclopedica, d’avanguardia, una cosa che manco Diderot e D’Alembert, un patrimonio incommensurabile, un deposito araldico e genealogico senza precedenti che avremmo dovuto donare a Carmelo Bene e poi vedere cosa ci avrebbe tirato fuori.
Come Paperon de Paperoni anche noi avevamo la nostra “Numero 1”, la prima, l’inestimabile, la preferita, il mantra, quella da cui tutto ebbe inizio e che ancora oggi, come un vecchio vinile, suona da Dio e fa così:
Con grave ritardo, ieri sera ho visto Winter on Fire: Ukraine’s Fight for Freedom, il documentario sulla ribellione di piazza Maidan del 2014 e sono rimasto profondamente scosso.
Lo consiglio a quelli che parlano di complessità ma poi alla fine gli ucraini si devono arrendere che è meglio per tutti, quelli che i neonazisti del battaglione Azov tirano le fila di qualsiasi cosa e quelli che Zelensky è ricco e la villa a Forte dei Marmi la vorrebbero loro.
Ho pensato a quanto coraggio ci vuole, a quanta abnegazione a quanti sacrifici fanno le persone per cercare raggiungere quella libertà incondizionata che godiamo noi europei e che diamo per scontata.
C’erano le bandiere ucraine e quelle dell’unione europea che sventolavano in segno di speranza a piazza Maidan, c’erano gli studenti, gli uomini, le donne, le vecchie signore, il patriarca ortodosso, l’arcivescovo cattolico, il Muftī mussulmano, tutti insieme in quella piazza a pregare, tenersi per mano, cantare e gridare il loro no a un governo fantoccio che stracciava gli accordi di libero scambio con l’Europea per rigettarsi tra le braccia della dittatura di Putin.
Un governo che inviava le forze speciali della polizia a disperdere la folla e queste intervenivano e manganellavano tutti, uomini, donne, vecchi e bambini e sembrava finita lì, invece le persone resistevano, erano tassisti, avvocati, operai, medici, gente comune che non voleva rinunciare al proprio futuro e a quello dei loro figli.
Ho pensato che se fossi stato lì, dopo la prima terribile carica delle forze speciali, con tutte quelle teste spaccate e il sangue per le strade me ne sarei scappato terrorizzato a casa dalla mia famiglia e mi sarei chiuso dentro, ma io ragiono come un uomo occidentale che ha tutto da perdere, mentre loro no e infatti la protesta non si è fermata ed è arrivata sempre più gente dalle periferie, dalla provincia, dalle città vicine e il governo ha avuto paura e la polizia ha cominciato a sparare e uccidere i ragazzi, le donne, i manifestanti disarmati. Sui tetti sono spuntati i cecchini che giocavano al tiro al bersaglio, sparando su tutti, anche sui soccorritori, sulla Croce Rossa. Sono scene strazianti con la gente che si riparava dove poteva ma non scappava e cantava l’inno nazionale e perfino io, che gli ideali sì, ma ‘sto concetto di patria non è che mi abbia mai emozionato particolarmente, non sono riuscito a trattenere le lacrime.
La guerra in Ucraina è figlia di questa protesta di questa gente che vuole essere europea, che in quattro mesi ha fatto scappare a Mosca il presidente filorusso Janukovyč e permesso di indire nuove elezioni. Subito dopo sono arrivati gli attacchi russi in Crimea e in Donbass e oggi l’atrocità della guerra è sotto gli occhi di tutti e non ha alcuna importanza se la propaganda degli uni è peggiore della propaganda degli altri, lì la gente sta morendo perché ha deciso di vivere in un modo e in un mondo che non piace a Putin.
Qualcuno dice che l’occidente, gli Usa, l’Europa, la Nato sono responsabili di tutto questo. Probabilmente lo sono in parte, per varie ragioni e con implicazioni diverse. Altri sostengono che non si stia facendo abbastanza per la pace, perché alla fine questa guerra conviene a molti e anche in questo c’è del vero, ma da qui a giustificare con quell’odioso incipit “non sono putiniano ma…” l’aggressione militare russa e arrivare perfino a innalzare la dittatura di Putin a baluardo contro la fantomatica agenda globalista, è davvero miserabile. Vaffanculo e viva l’Europa e quello che rappresenta.
Ho sognato che mio malgrado mi trovavo coinvolto in una rissa tra Iginio Massari e il Professor Orsini. Un sogno molto confuso perché eravamo a Minsk per una missione di pace organizzata dalla Provincia di Siracusa e da Noi Albergatori e dovevamo andare a cena da Lukašenko ma Orsini non voleva mettere la sua quota del dolce che aveva preparato Massari e accampava scuse assurde, tipo che ‘sta convenzione di portare un presente a casa di chi ospita è una pratica americana inaccettabile che ha fatto dei danni incommensurabili in tutto il mondo e che una volta ha visto coi suoi occhi Biden, quando era vicepresidente, che a casa di un diplomatico nel Donbass, prima portava due sfogliatelle di ricotta e poi si fotteva dei soprammobili dell’armata rossa. Massari era su tutte le furie e minacciava di non venire, che lui ‘sta malafiura non l’avrebbe fatta anche perché diceva, sono proprio le basi dell’educazione e Orsini rispondeva che invece era l’ipocrisia dell’occidente. Io allora provavo a fare ragionare tutti, dicevo che mi pareva assurdo rinunciare alla cena, anche perché ci sarebbe stato il filetto Stroganoff della moglie di Lukašenko e nessuno dotato di buon senso può rinunciare a un filetto Stroganoff. Manco il tempo di dirlo però che Orsini, con una copia del Fatto Quotidiano arrotolata a mo’ di manganello si era partito e aveva cafuddato un gran colpo di giornale tra il collo e l’orecchio di Massari che con un’agilità inspiegabile per un uomo della sua età che ha mangiato tutti quei dolci, l’aveva placcato e buttato a terra e aveva cominciato a colpirlo con una saccapoche di crema chantilly.
I due si colpivano e si rotolavano e c’era crema chantilly dappertutto e tutti e due si gridavano cose tipo: imperialista, autocrate, revanscista e facciadiminchia.
Ho provato a dividerli ma mi arrivavano colpi da tutte le parti allora ho cominciato a chiedere aiuto e nella stanza si sono precipitati due soldati che poi ho scoperto essere due vigili urbani che la, dice che i vigili urbani sono soldati a tutti gli effetti e che se ti trovano in doppia fila, ti arrestano. I due militari hanno cominciato a percuoterli sulle gambe con due sfollagente fino a dividerli.
Orsini era completamente fuori di sé e gli gridava: “yankee asservito”, “Zio Sam di merda”.
Massari gli rispondeva per sfregio cose tipo cheesecake, apple pie, donuts.
“Calmatevi – dicevo io – ma che cazzo fate?”.
“La mia aggressione nasce da decenni di provocazioni di Massari – sentenziava Orsini – chi non le vede è complice”.
“Ma chi cazzo ti conosce – gridava Iginio Massari che aveva una vena sul collo che sembrava pronta ad esplodere – ma questo è pazzo.”.
Il bordello aveva fatto accorrere anche tutti gli atri delegati della missione e ne era nata una discussione infernale, la tensione era salita alle stelle, alcuni delegati stavano con Orsini, altri con Massari e tutti si fronteggiavano a muso duro, allora ho preso la parola e timidamente ho chiesto: “scusate, ma la quota di Orsini non la possiamo distrarre dalla tassa di soggiorno?”. Tutti hanno annuito e poi applaudito e poi hanno iniziato ad abbracciarsi.
Poi i militari ci hanno fatto capire che era tardi e ci hanno fatto scendere in strada per aspettare un van che ci avrebbe portato a casa di Lukašenko e invece è arrivato un camion militare di quelli col telone e ci hanno obbligato a salire e il prof Orsini è rimasto giù e quando tutti i delegati erano stati caricati a forza ha comandato: “puttati sti pezzi i medda a Vladivostok” così, in siciliano, e quelli hanno obbedito.
Un carnevale di tanti anni fa, a Palazzolo Acreide, durante la sfilata dei carri allegorici, in mezzo alla bolgia di pirati, ballerine, supereroi, principesse, clown e carabinieri, che salivano verso la piazza centrale del paese, mio padre, sorridendo, indicò una persona e mi disse: “guarda quello, si è vestito a Bazzano”. Io ero un bambino e trovai la cosa inconcepibile: “Ma come è possibile – pensai – il signor Bazzano mica era uno famoso!”. Era una persona normale, un amico di mio nonno, giocavano insieme a carte, vestiva sempre in maniera impeccabile e zoppicava vistosamente dalla gamba destra. Mi voltai per osservare quest’uomo che indossava un vestito grigio, un cappello di feltro calcato sulla fronte e che affrontava la strada in salita con il suo passo inconfondibile. Rimasi attonito per qualche secondo, poi capii.
Io non lo so se reintrodurre gli scritti nell’esame di maturità sia giusto o sbagliato, certo, non entro in una scuola da troppo tempo, le mie conoscenze di didattica sono ferme a trent’anni fa, sconosco le principali teorie pedagogiche e non ho figli in età scolare per poter giudicare la cosa ma credo che la scuola sia un mondo troppo vasto e complesso per poterla ridurre a una semplice dicotomia.
La mia maturità fu un disastro. C’erano due scritti ma fu un disastro lo stesso. Feci il tema sulla bioetica, un buon tema, ero preparato perché mia madre ogni anno indovinava un paio di tracce e la bioetica fu una di quelle. Ne avevamo parlato insieme nei pomeriggi di preparazione all’esame e avevamo esplorato limiti e traguardi della scienza. Così quella mattina mi misi a scrivere di getto, citai 2001 Odissea nello spazio di Kubrick e Josef Mengele, Galileo, l’Illuminismo e le Colonne d’Ercole. I commissari esterni non si sforzarono di voler capire e mi appiopparono il voto più basso che avessi mai preso in un tema d’italiano. Lo scritto di matematica fu l’opposto. Io ero in totale ambascia, ma pochi minuti prima della fine della prova mi suggerirono il risultato della funzione integrale e io lo piazzai lì, in bella mostra alla fine del rigo, saltando decine di passaggi manco fossi Ettore Majorana. La commissione apprezzò tantissimo e non ritenne di dover approfondire la cosa.
Leggere dell’impetuosa presa di posizione dei ragazzi mi ha dapprima indignato – “ma guarda ‘sti schiffariati”, ho pensato tra me e me – ma poi, mi ha come ridestato da certo torpore e mi ha fatto pensare a quanto sia bello essere giovani e desiderosi di cambiare il mondo, a quella sottile linea che divide il bene dal male, la lotta studentesca dalla caliata per andare con i motorini a mare all’Arenella, agli ideali, alla sopravvivenza. All’energia dirompente che si sprigiona e che travolge ogni cosa.
Questo furore mi ha ricordato un mio supplente al liceo, chissà che fine ha fatto, se insegna ancora o se ha cambiato strada. Era giovane, primo incarico, molto gentile ed educato. Nel giro di un paio d’ore era stato completamente soggiogato al volere della classe. La sua autorità, annichilita. Dopo un paio di mesi di totale cazzeggio, dovendo fare i conti con la sua coscienza, prese coraggio e disse: «Ragazzi, martedì verifica scritta sui capitoli 4 e 5». La classe esplose in un boato di protesta così fragoroso che il professore fu costretto ad aggiustare il tiro: «Allora una settimana di interrogazioni per recuperare il tempo perduto». Niente da fare, gli ululati e i fischi erano assordanti.
Lui sembrava demoralizzato ma non poteva darcela vinta e noi, d’altro canto, non eravamo disposti a indietreggiare di un millimetro. Ne nacque una discussione piuttosto accesa e una delegazione di alunni fu inviata alla cattedra per mediare. Alla fine l’accordo fu trovato, la delegazione tornò al posto e il professore si alzò in piedi, richiamò l’attenzione di tutti sbattendo ripetutamente la mano sulla cattedra, si schiarì la gola e poi disse: «Ok, allora martedì facciamo qualche domandina senza voto…». La classe si ritenne soddisfatta.