Il ricordo che ho di Zygmunt Bauman, fine pensatore, attento studioso del rapporto tra modernità e post-modernità, solitudine e globalizzazione è legato ad un incontro tenutosi a Siracusa nel 2012. Era una giornata di tempesta, con un odioso vento di tramontana, pioggia sferzante e freddo. L’incontro si teneva in una sala del Museo Paolo Orsi. Decisi di andare nonostante il maltempo perché, sebbene non fossi un profondo conoscitore del pensiero dello studioso polacco, non volevo perdere l’occasione di guardare negli occhi ed ascoltare uno dei più importanti pensatori della nostra epoca.
Il convegno iniziò con un ritardo spaventoso e offensivo. Il tavolo dei relatori – non ricordo con esattezza – mi pare fosse zeppo di figure di secondo piano, fauna di sottogoverno, figli di potenti. Tutti questi personaggi occupavano i posti centrali del tavolo confinando Bauman praticamente su un predellino ai margini. Il mio ricordo di questa fase del convegno è minimo, ma la memoria mi richiama ricordi di banalità, luoghi comuni e malafiure.
Bauman, da gran signore, abbozzava in attesa del suo intervento relegato in fondo alla scaletta. Dopo circa un’ora, finalmente il Professore venne invitato a parlare. Ricorderò questi sessanta minuti come una delle cose più incredibili che mi siano mai accadute.
Per l’enorme ritardo accumulato in salamelecchi, Bauman, saggiamente, decise di accorciare il suo intervento per permettere all’ultimo relatore che sarebbe intervenuto dopo di lui, di prendere la parola. E qui scoppiò il finimondo. L’interprete contattata dall’organizzazione del convegno, aveva tradotto pedissequamente e scolasticamente l’intervento che Bauman le aveva gentilmente inviato qualche giorno prima della conferenza, ma non aveva idea dei concetti, della terminologia, dei sillogismi e della concezione filosofica e sociologica di Bauman. Per questo motivo, trovatasi a tradurre simultaneamente e non a leggere il testo concordato, andò completamente nel pallone: errori, terminologia inappropriata e completamente sballata, sudori freddi, balbettamenti. Divenne veramente complicato seguirla, anche perché, purtroppo, a dispetto di un inglese corretto, aveva un fortissimo accento siciliano (tipo Ispica) che rendeva la traduzione italiana surreale. Bauman non capiva, vedeva il pubblico davanti a se che a stento trattiene le risate. Lui parlava di società liquida, di globalizzazione, di vite di scarto e noi, tutti a ridere.
Dopo circa 10 minuti di supplizio, dal pubblico si levò una voce disperata che propose, anzi supplicò, di stoppare la “traduzione” simultanea e di fare continuare il professore in inglese. Sarebbe potuto sfuggire qualche termine ma il discorso sarebbe diventato molto più chiaro, dato che la traduzione era veramente incomprensibile. Con un voto palese, come se si trattasse di una assemblea di lotta studentesca degli anni ’70, il pubblico decise e optò per la mozione inglese. Bauman, che nel frattempo si era interrotto più volte per cercare di comprendere cosa stava succedendo, dato che nessuno si premurava di spiegarglielo, riprese il suo discorso senza traduzione. Si andò avanti per altri dieci minuti quando, sempre dalla platea, si levò un grido minaccioso e spietato. Un uomo dal pubblico non riuscì più a trattenersi. Ci accusò, gridando, di essere degli ipocriti, che nessuno capiva un cazzo di inglese e che stavamo facendo tutti finta. Pretese un ritorno alla traduzione siciliana che almeno garantiva una comprensione minima. Ne nacque una disputa spaventosa. Il povero Bauman era esterrefatto, non poteva immaginare di trovarsi veramente in una situazione del genere. Intervennero gli organizzatori, fecero più confusione che altro, sottolinearono come la traduttrice precedente fosse di “matre lincua” e proposero di ristabilire lo status quo. La traduttrice però, ferita nell’orgoglio per essere stata messa da parte, si rifiutava di tradurre e abbandonò la sala mentre Bauman, mortificato, la pregava di rimanere. Furono momenti di panico, di brivido, terrore e raccapriccio. Io sentivo un sentimento di euforia misto a profonda vergogna, pensavo a Bauman, cosa starà pensando di noi? Questa avventura siracusana modificherà il suo modo di vedere la società rivoluzionando tutta la sua opera? Si ritirerà dalla scena?
Alla fine, quando la situazione sembrava completamente sfuggita di mano, con le due fazioni di pubblico che non riuscivano a trovare un accordo tra inglese e italiano, una ragazza si alzò dal suo posto in platea e si mise a disposizione per la traduzione simultanea. La ragazza faceva l’interprete, era bravissima, professionale e Bauman, tra gli applausi, potè finalmente concludere la sua lectio magistralis.
Una storia normale sarebbe finita qui, ma da queste parte ci piacciono i finali in grande così, al termine dell’intervento, il pubblico siracusano si alzò in piedi e scattò in maniera fulminea verso il filosofo polacco per chiedere autografi, benedizioni e raccomandazioni varie, il tutto mentre gli organizzatori davano la parola all’ultimo relatore che trovatosi davanti una sala ormai vuota con capannelli di persone vocianti e distratte, sbottò con un sonoro: «Ma vaffanculo va.» lasciando cadere il microfono e allontanandosi furioso dalla sala. L’incontro terminò lì.
Zygmunt Bauman non sarebbe mai più tornato a Siracusa.
Mi vergogno di essere Siracusana!
Archimede si starà girando nella tomba😖
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Chiara, non ti sconfortare: la stessa cosa sarebbe potuta accadere in qualunquissima altra città d’Italia. Siamo italiani! Dunque gli specialisti assoluti e incontrastati delle figure di emme.
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