L’inizio è sempre uguale: un vagare circospetto intorno al tavolo, un atteggiamento d’ironico distacco, un’occhiata nervosa ai camerieri in sala per intuire, un attimo prima degli altri, se il momento è arrivato. Non c’è nulla da fare, i buffet scatenano in ognuno di noi una brama di controllo e di potere. Niente deve sfuggire, nessuna pietanza può essere tralasciata.
Che tu sia cardinale, batterista di cover band, visconte, insegnante, grillino, imprenditore o consigliere comunale, non fa differenza. Davanti ai buffet diamo il peggio di noi. Siamo intransigenti con gli altri ma pronti a inserirci in controsenso; ci fingiamo gentili e serviamo la signora alla nostra destra solo per propinarle la porzione meno condita, scalciamo anziani e disabili, malediciamo parenti e amici fraterni. L’obiettivo è accaparrarsi il maggior quantitativo di cibo nel minor tempo possibile e chi si mette in mezzo lo fa a suo rischio e pericolo. I più talentuosi, li vedi già seduti a tavola intenti a mangiare quando tu non sei nemmeno a metà del giro e ti chiedi come diavolo possano aver fatto.
Io sono un po’ emotivo, lo riconosco, ma quando li osservo da lontano, mi emoziono ancora e vorrei farmeli amici, carpirne i segreti. La vita di per sé è un casino tremendo, sogni infranti, batoste, fallimenti, ma quando nello stesso piattino riesci ad impilare rondelle di salame, alici marinate, pipi ammuddicati e olive; dividere la caponata dalle cozze gratin; puntellare con triangoli di caciocavallo la montagna di pennette agli scampi, poggiarci sopra un architrave di salmone affumicato; decorarla con uno sbuffo di tentacoli di puppo; foderare il risotto di mare con le melanzane, non si scherza più: questo è talento.