La Sila, in Calabria, è un posto bellissimo ma è al Sud quindi potrebbe essere un posto ancora più bello se non fosse che, essendo al Sud, la natura preziosa, gli scorci mozzafiato, le atmosfere rarefatte, sono devastate dai piatti di plastica e dai sacchetti di spazzatura disseminati sotto gli alberi, dai cavalli di una famiglia di sinti calabresi, giostrai, al galoppo briglie sciolte nell’unico parchetto per bambini e dall’immancabile trenino turistico su gomma che sputa fumo nero dai suoi scarichi e appesta l’aria con una compilation di musica latina a volume spropositato con tutto il suo carico di “contigo”, “conmigo”, “tengo que besarte”, “nos vamo’ pa’ tu casa sin pijama, sin pijama”, “te pones celoso si bailo con otro”.
Di contro, abbiamo incontrato un gruppo di ragazzi e di residenti del luogo che fa di tutto per rendere l’esperienza in Sila autentica e formativa: accoglienza diffusa, attenzione per i prodotti agroalimentari locali, studio della storia e delle tradizioni e un amore genuino per questa terra. Grazie a loro abbiamo potuto goderci una settimana immersi nella natura più incontaminata.
Parlando con le guide locali avevamo deciso di partecipare ad una escursione nei boschi con un gruppo di famiglie con bambini. L’escursione sarebbe stata di circa tre ore e con un taglio didattico specifico, per introdurre i più piccoli alla vita del bosco. C’era una coppia di Mantova con la loro figlia Arianna di 7 anni, c’era una famiglia romana con due gemelli, Rudi e Rebecca e una coppia giovanissima, lui di Cosenza, lei svedese, con Corrado, un bambino di circa quattro anni. C’era Ettore un dodicenne di Crotone scaltro ed equipaggiato come per un corso di sopravvivenza e un altro paio di famiglie con la rispettiva prole. Bruna, con il suo anno e mezzo era la più piccola del gruppo ed era sistemata dentro uno zaino per escursioni, appositamente noleggiato per l’occasione. Dopo un primo tratto di percorso costeggiando la strada delle vette, ci siamo inerpicati lungo un sentiero dentro il bosco. La temperatura era perfetta, i profumi delle resine inebrianti, Laura, la nostra guida, era affabile e molto scrupolosa, grazie a lei abbiamo visto la tana del serpente e quella dello scoiattolo, il “supermercato” del picchio, la casa del tasso e dove va a bere la martora. I bambini del gruppo erano entusiasti, Bruna un po’ meno, perché alla lunga, stare costretta dentro lo zaino era per lei un po’ noioso e poi perché le sue conoscenze etologiche non sono ancora così avanzate.
In più, cominciava a montare un po’ di stanchezza perché, fino a quando si marciava, Bruna riusciva a distrarsi, cantavamo “Diamonds on the soles of her shoes” di Paul Simon e “Bimba a bordo” dei Re Acuti e tutto andava bene, ma quando ci fermavamo, tra spiegazioni e domande del pubblico, perdevamo un sacco di tempo e la bambina, dopo la prima ora, manifestava una certa insofferenza.
Ho cominciato a colpevolizzarmi e chiedevo a Donatella: “Ma come abbiamo potuto trascinarla qui? Come abbiamo potuto infliggerle questa prigionia per ore e ore, imbracata in uno zaino a noleggio mentre lei vorrebbe solo correre e fare lo scivolo?”. Donatella, che è molto più lucida di me, cercava di farmi ragionare: “Ma che dici? Stiamo facendo una bellissima escursione insieme.”, “Bruna sta bene, calmati, piuttosto coinvolgiamola di più, distraiamola”. Ma io niente, non sentivo ragioni, ogni suo lamento era come se mi infliggessero una coltellata, allora ad ogni stop, ho cominciato a dire alla guida e a tutto il gruppo cose tipo: “questo lo sappiamo, andiamo avanti”. Oppure commentavo ad alta voce: “Superfluo.”, davo consigli: “Non ci raccontare proprio tutto, lasciaci anche con un po’ di mistero”, o davo indicazioni: “Da questa parte, circolare, circolare”.
Donatella si è avvicinata con la faccia tirata e mi ha detto: “la devi finire, sembri un pazzo!”.
Poi, dopo un altro tratto in salita, ci siamo fermati in cima ad una spianata dove c’era una specie di anfiteatro naturale di rocce e alberi e Laura ha iniziato un discorso sulla biodiversità, su come la coesistenza in uno stesso ecosistema di diverse specie animali e vegetali crei un equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni e poi si è spinta ancora più in la, abbozzando quasi un’analisi sociologica e sottolinenando l’importanza delle differenze tra gli attori di un ecosistema in relazione alle condizioni ambientali.
Bruna scalpitava, si lamentava, io immaginavo terribili sofferenze e stavo per scoppiare in lacrime, ho guardato Donatella come a implorarla: liberiamola. Donatella ha detto: “facciamola scendere”. per Bruna è stato un sollievo, ha cominciato a sgranchirsi le gambe, prendere rametti e giocare con le pigne. Per me è stato come rinascere, ho ripreso a respirare normalmente e mi sono rilassato.
A un certo punto Bruna si è accorta che gli altri bambini erano tutti intorno a Laura e ciascuno di loro imitava cinguettii di uccelli. Era tutto un Cip Cip, Piep Piep, Cra Cra. Ettore, quello vestito come un berretto verde, conosceva pure i versi dell’aquila reale, del gufo delle nevi e di qualsiasi altro volatile conosciuto nel mondo.
Praticamente Laura chiedeva ad ogni bambino da che città venisse e quali specie di uccelli conoscesse e ogni bambino rispondeva con un concerto di suoni e di onomatopee. Bruna si è fiondata in mezzo al capannello di bambini e si è piazzata sotto Laura, a trenta centimetri, fissandola dal basso verso l’alto. La guida le ha sorriso e per gentilezza le ha chiesto: “E tu da dove vieni?”. Ma questo Bruna non lo sa, è un argomento che non abbiamo ancora affrontato e così ha risposto: “Biddiii”, che è un termine polisemico che lei usa in varie situazioni, allora sono dovuto intervenire io: “Siracusa, ho detto tra il fiero e lo sconfortato”.
“E come ti chiami?”, le ha chiesto la guida.
“Buna“, ha risposto pronta.
“E a Siracusa, a casa tua, come fanno gli uccellini?”.
Bruna non c’ha pensato due volte, ha aperto le braccia per fare le ali e ha risposto: “Ucuccu, Ucuccu.”.
