Illustrissimo ristoratore,
ho apprezzato la tua operazione di marketing territoriale che consisteva nello sduacare nella mia cassetta della posta e tutto intorno, un numero surreale di volantini con le tue offerte “Pizza Asporto Covid 20-21”, ma purtroppo, al netto di qualche refuso riscontrato ad una lettura superficiale, le terribili esperienze che ho vissuto ogni volta che ho avuto l’ardire di cenare da te, mi costringono a non prendere in considerazione la tua proposta. Vedi, se quando guadagnavi palate di soldi in nero, avessi prestato attenzione alla scelta delle materie prime, curato il servizio, istruito i camerieri, accettato le critiche senza inalberarti e mandare a fanculo chiunque ti facesse notare che la pizza era bruciata, completamente cruda o semplicemente immangiabile, beh, adesso non sarei a scriverti questa mia.
La domanda è retorica ma la pongo lo stesso: ma se durante il massimo splendore commerciale della tua attività, il prosciutto era verde, le olive con patina muffa, la mozzarella di bufala amara come fiele; se ordinando la mitica “Crutaiola” uno ci trovava cuccioli di pappapane soffocati dalla rucola, se perfino l’onesta quattro formaggi si trasformava in una due formaggi + sale e per di più, la birra alla spina che vendevi a caro prezzo come bavarese premium era in realtà una mediocre Cisk, insomma, se quando avresti potuto costruirti una credibilità e una clientela locale meno soggetta a stagionalità, pestilenze e calamità, te ne sei altamente fottuto, accecato dai facili guadagni del turismo mordi e fuggi, ma adesso, in cuor tuo, ma come puoi pretendere che io componga quel cazzo di numero per ordinare una pizza?
Cordialità

a “bufala amara come il miele” ho quasi vomitato di prima mattina.
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