Consapevolezze

Egregio ristoratore non ho mai cenato da te né mai lo farò, ma la tua consapevolezza sugli effetti nefasti della crisi climatica mi ha profondamente colpito.

Sappiamo entrambi che il tuo ristorante fa schifo e questo è il motivo per il quale è sempre vuoto. Passandoci davanti indossando la mascherina, il primo istinto è quello di schiacciarsela sulla faccia  per non sentire il puzzo di cibo avariato che proviene dalla tua cucina. Per migliorare gli affari hai provato a differenziare e la mattina ti sei messo a fare servizio bar ma sempre con pessimi risultati. Ricordo ancora quando piazzavi quei due tavoli in mezzo alle macchine parcheggiate e con che amore li ornavi con quelle due tovaglie di carta nera, sempre loro, sempre le stesse, a trattenere gelosamente – come testimoni del tempo che passa e dei pochissimi clienti – la macchia di cappuccino del turista tedesco dell’aprile 21; lo sbuffo di crema al pistacchio del cornetto della bimba francese a giugno, le tracce di una granita di mandorla rovesciata per sbaglio e soprattutto le impronte delle zampe dei gatti del quartiere che sembravano delle rotte, da macchia a incrostazione, tracciate su una immaginaria cartina geografica.

Ad agosto hai tentato il tutto per tutto e hai aperto un gigantesco dehor, solo che inspiegabilmente non l’hai fatto come tutti gli altri, costruendo una struttura, delimitando lo spazio, no, tu hai srotolato una gigantesca moquette a pelo lungo sulla strada, hai recintato il tutto con dei vasi con piante moribonde e con alcuni rifiuti e ci hai piazzato tavoli, tovaglie damascate e mise en place spaiata. Purtroppo non è andata come speravi, Ortigia esplodeva di turisti e da te continuava a no sedersi nessuno. Che ingiustizia, eppure non sei così peggio di altri ristoranti che invece fanno il pienone. Tu devi avere accusato il colpo perchè a un certo punto, probabilmente demotivato, hai cominciato a parcheggiare il tuo Suv da ottantamila euro in seconda fila, di fianco ai tavoli, scoraggiando così quei i pochi che avrebbero malauguratamente potuto pensare di consumare un pasto da te.

Poi, il temporale, l’allerta meteo improvvisa, nefasta, la tua moquette che assorbe acqua a dismisura e si trasforma in un pantano, imprigionando nel suo pelo lungo, cartacce, mozziconi di sigarette, escrementi di animali che la furia delle acque ha trasportato lungo le strade.

il giorno dopo, un timido sole fa la sua comparsa tra le nuvole ancora cariche di pioggia, Ortigia ha una luce stupenda, il peggio sembra passato. Una comitiva di turisti attraversa la strada, sembrano indecisi, tu esci e li preghi di accomodarsi, dici cose come “Spezialität” e “Oliuchenit”, loro abboccano, si avventurano titubanti sulla moquette zuppa, i loro sandali e le ciabatte fanno “ciaf, ciaf, ciaf”. Le tovaglie di carta dei tavoli sono ancora inzuppate, ti prodighi per sostituirle ma non ne hai di riserva, allora opti per una soluzione “naked” senza tovaglia, e inizi a piazzare piatti e bicchieri sul tavolo ancora insivato dalla tovaglia di carta zuppa. I turisti mormorano. Cominci a servire dei fritti misti. Il pesce, o qualsiasi cosa sia stata fritta al suo posto, ha il colore dell’ebano, il limone è secco e il vino è caldo, in più, ad ogni passaggio tuo o del cameriere si sollevano sulla moquette piccole onde di fango e acqua sudicia che si infrangono sui piedi dei turisti. È come pranzare in una palude. Ti guardano sconsolati, un paio si lamentano, tu percepisci il loro disagio, ma pronto rispondi: “Mi dispiace assai ma puttroppo questi campiamenti climatici ci stanno ammazzanto… fritto misto però verigud ah! il migliore di Siracusa.”.

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