E niente, nonostante mi atteggi a viaggiatore cosmopolita, nonostante abbia imparato a viaggiare leggero, a non mettere il lucchetto alla valigia per difendere dalle brame dei malintenzionati quattro paia di mutande comprate in saldo da Yuval, nonostante abbia sposato in pieno la rivoluzione digitale e abbia tutto sullo smartphone: biglietti, carte d’imbarco, voucher hotel, mappe di Google e prenotazioni varie. Nonostante utilizzi Uber, paghi con Apple pay e abbia iniziato pure a raccogliere i punti mille miglia et similia; niente, nonostante tutto ciò, il giorno della partenza a me mi viene la smania di perdere l’aereo. Non si tratta di una nevrosi tipo: oddio, il passaporto! Oppure: ho chiuso il gas? No, è solo paura immotivata di non arrivare in tempo.
Donatella invece è l’opposto, non si scompone mai. Per me le indicazioni delle compagnie aeree di presentarsi in aeroporto con il dovuto anticipo sono diktat assoluti, per lei, generici consigli. Lei è sempre tranquilla e capace di gestire ogni situazione: gli altoparlanti hanno gracchiato l’ultima chiamata per il suo volo e lei è ancora impantanata ai controlli? Io mi sentirei morire, lei chiede gentilmente permesso, spiega la situazione e tutti la fanno passare. All’imbarco, quando si forma quel capannello di disperati che spinge per accedere per primi sull’aeromobile e piazzare il trolley in cappelliera, io sono tra quelli che subdolamente cerca di guadagnare posizioni e avvantaggiarsi del caos, lei entra con gli ultimi e trova sempre il posto libero per il suo bagaglio. Se viaggia sola, spesso ottiene upgrade gratuiti e vola in classe superiore. Descritta in questo modo, al giorno d’oggi, qualche leghista o grillino potrebbe perfino azzardare, che so: radical chic. Ma non è questo il punto. Anzi, mia moglie è esperta in danno da vacanza rovinata e averla nello stesso volo è una garanzia. Una notte, a Fiumicino, con un volo che continuava a procrastinare la partenza senza alcuna motivazione, chiese di parlare con un responsabile della compagnia e ottenne buoni pasto per tutti i passeggeri, voucher hotel e riprotezione sul volo del mattino successivo per quelli che avevano perso le coincidenze. Fu acclamata tipo Michael Collins dopo un comizio a Belfast e i passeggeri del volo, se avessero potuto, le avrebbero affidato il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture.
Comunque, riflettendoci, questa paura di perdere l’aereo deve avere a che fare con un imprinting familiare. Se ci penso, anche i miei genitori sono come me: la puntualità che degenera e diventa patologia, il calcolo dell’imprevisto che si trasforma in ossessione, la tisana rilassante sostituita dal Tavor. Quando viaggiavamo insieme, eravamo talmente in anticipo che praticamente, metà della vacanza la passavamo negli aeroporti in attesa del volo. Da quanto ho contezza, mi ricordo sempre e solo di partenze all’alba. Non voglio esagerare ma tutto questo deve essere legato a fattori antropologici e sociologici. Voglio dire: mia moglie è stata abituata a viaggiare sin da piccola, credo che il suo primo volo intercontinentale l’abbia fatto a 2 anni. Io a 32. Lei è cresciuta tra Genova, Buenos Aires e New York, io tra Siracusa, contrada Gallina e l’Arenella. Lei ha usufruito di servizi pubblici eccellenti e trasporti puntuali, a me, l’unico servizio puntuale che mi viene in mente è l’arrotino. Lei ha vissuto in città con strade a scorrimento veloce e infrastrutture, io per raggiungere l’aeroporto di Catania dovevo percorrere la SS 114 Orientale Sicula. Ecco, credo sia questo il nodo principale, tutta questa smania di perdere l’aereo nasce da lì, dall’inaffidabilità di quel tracciato che ha condizionato me e la mia famiglia. Sono passati anni dalla sua dismissione, ma i suoi effetti nefasti sono rimasti indelebili: mio padre, per dire, tende a guidare più a destra, a cavallo della corsia d’emergenza; mia madre a volte è vittima di allucinazioni e vede auto che le vengono addosso. A me è rimasta questa ossessione dell’imprevisto che potrebbe compromettere l’arrivo in aeroporto e solo in aeroporto. Non mi succede in nessun altro caso. Mia moglie dice che negli anni sono notevolmente migliorato, ma in realtà, lo do solo a vedere.
– A che ora è il volo?
– A mezzogiorno esatto.
– Quindi l’imbarco alle 11:30? Allora dobbiamo essere in aeroporto alle 10:30, dunque dovremmo partire da casa alle 9:30, ma metti una pipì, una ruota a terra, un tamponamento, un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette, che so, forse sarebbe il caso di uscire di casa alle 8:30.
– Ma c’è l’autostrada, stai tranquillo, ci mettiamo 35 minuti.
– Ma tu non consideri il bordello infernale di Corso Umberto.
– Dai, non esagerare, nella peggiore delle ipotesi possiamo perdere al massimo dieci minuti.
– No, no, scusa, trovo veramente poco edificante il tuo tentativo di sminuire un problema gravissimo come il bordello vergognoso di Corso Umberto.
– Ma dovremmo risolverlo adesso? Non ci pensare. Hai anche la valigia già pronta, rilassati.
– Va bene, hai ragione, scusa. Partiamo alle 9:45 ok? La sveglia però la metto all’alba… non si sa mai.