Silenzio

Ma cosa spinge un padre di famiglia, una mamma amorevole, ad insultare una ragazza che è stata per oltre 500 giorni, prigioniera di un gruppo di terroristi somali, spostata di nascondiglio in nascondiglio, di villaggio in villaggio, senza vedere nessuno, senza parlare con nessuno, senza sapere se e quando sarebbe stata liberata?

Ieri, quando ho visto Silvia Romano scendere la scaletta di quel volo di stato a Ciampino e ho scorto quella tunica verde, credo che insieme a me, molte persone avranno pensato la stessa cosa: “No! Poverina, e ora chi li ferma?”. E infatti: 3,2,1, via al linciaggio! Del resto era inevitabile, ci siamo abituati a vivere in una società che si alimenta di insulti, menzogne e violenza e i miserabili, i fomentatori d’odio, erano lì, pronti a commentare, infangare, spargere merda sulla vita di una ragazza che è appena uscita da un incubo.

Ma davanti alla vita che torna a scorrere libera e senza costrizioni, davanti all’abbraccio commovente con la sua famiglia, è davvero così importante che religione abbia deciso di professare Silvia Romano? Se si sia trattato di una scelta consapevole o se sia stata costretta a convertirsi, cambia forse la sostanza delle cose? Io credo di no.

Ci hanno chiesto di restare in casa per quaranta giorni, col culo seduto sul divano a guardare Netflix, cazzeggiare on line e fare la spesa con consegna a domicilio e siamo andati fuori di testa. Ci siamo sentiti oppressi, defraudati delle libertà costituzionali, impossibilitati a vivere la vita come eravamo abituati. Abbiamo fatto le vittime e pianto miseria, comprato la Playstation 4 a vostro figlio per paura che il ragazzo, in una fase così difficile, potesse soffrire troppo; ci siamo convertiti al lievito madre e al pilates; abbiamo scaricato tutto il nostro risentimento verso i runners, i bikers, quelli che andavano a lavorare e quelli rimasti senza lavoro; siamo stati in balia di virologi, Giletti e barbare d’urso; abbiamo cercato appigli di qualsiasi tipo, supporti psicologici per i nostri figli e abbiamo gridato le nostre paure ed i nostri malesseri.

Poi, viene liberata una ragazza dopo un anno e mezzo di prigionia e come se nulla fosse, pretendiamo di capire le sue scelte, parliamo a vanvera senza avere la ben che minima idea di che cosa possa lasciare dentro l’animo un’esperienza come quella che ha vissuto Silvia Romano, quali strascichi, quali paure, quali tormenti potranno accompagnarla per tutta la vita. Senza nessuna empatia, senza nessuna carità cristiana di quella fede di cui andiamo blaterando in giro, ci siamo scagliati contro di lei, l’abbiamo insultata e accusata delle peggiori nefandezze. Qualcuno saprebbe dirmi a cosa giova tutto questo? Non sarà che lo facciamo per restare impegnati? Perché concentrarci sugli altri, criticarli, sottrate tempo ed evita di pensare a che razza di persone siamo diventate? Silenzio.

2 pensieri su “Silenzio

  1. Come avrai notato, ad aspettare Silvia Romano c’erano Conte e Di Maio. Intendiamoci: i due non erano lì per sincero affetto nei confronti della ragazza, e neanche per rappresentare lo stato. Erano lì perché volevano rivendicare la sua liberazione come un loro successo, e quindi stare al suo fianco al momento del suo ritorno in Italia era un modo per esibirla come un loro trofeo personale.
    Alla luce di questo evidentissimo intento propagandistico, mi immagino quanto avrebbero voluto rotolarsi per terra nel vederla scendere con una veste islamica: infatti da quel momento in poi Sara Romano ha smesso di essere un utile strumento di propaganda ed è diventata il bersaglio del giorno, a causa dell’immensa islamofobia presente nel nostro paese.
    Io in Silvia Romano non vedo né un trofeo da esibire, né uno strumento di propaganda, né un bersaglio da attaccare per la sua conversione. Vedo soltanto una povera ragazza palesemente vittima della sindrome di Stoccolma: lo si vede non soltanto dai dati più evidenti (come la veste o la sua professione di fede), ma anche dalla foga con cui precisa di stare bene psicologicamente e di essere sempre stata trattata bene dai rapitori. E’ proprio un caso da manuale, e quindi ha bisogno di tutta la nostra comprensione.

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  2. Gentile Emiliano , anch’io ho subito immaginato – ancora prima che scendesse dalla scaletta – il linciaggio a cui Silvia sarebbe stata sottoposta Mi aspettavo le solite accuse già scontate (i soldi del riscatto, “…E io pago …” la ragazza che ha la fisima della benefattrice… ecc.). Poi, una volta comparsa lì in cima con quella veste simile a un burqa, ho pensato “Aiuto…Ora la massacrano”). E infatti è andata come tu racconti. Ormai la dinamica è chiara, e non c’è coronavirus che tenga per modificare questa tendenza inarrestabile di tanti (troppi) a distruggere e sbranare, a gridare al complotto e vomitare sentenze. Io credo che il titolo del tuo post sia l’unica risposta possibile. Più che indignarsi e tentare di controbattere facendo appello alla ragione e alla solidarietà tra umani – concetti che non sembrano interessare a nessuno – l’unica è il silenzio. Chiederlo e poi mantenerlo. E continuare ad agire con coerenza: salvando vite umane e plaudendo a chi lo fa (non importa a quale partito politico appartenga, l’importante è che lo faccia). Tanto nessuna diagnosi psicologica potrà mai giustificare e neanche interpretare l’odio di chi si sbarazza del proprio carico di rabbia riversandolo su chi sente diverso da sè. È un dato di fatto. Sì, l’unica risposta possibile credo proprio che sia il silenzio.

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