No, no, ma qui la comunicazione c’entra ben poco, voglio dire, quanto vuoi che possa spostare? Al massimo da 104 arrivavamo a 102, non di più. È dura da buttare giù, soprattutto quando si è abituati a vantarsi da soli e dire di sé meraviglie, ma purtroppo, nonostante il mare, la pietra bianca, la granita di mandorla, la matalotta, i monumenti e la sua storia antica, a Siracusa si vive peggio che a Cuneo e Pordenone. Facciamocene tutti una ragione. Una città a misura di niente: bambini, giovani, lavoratori, anziani, quale categoria può dirsi soddisfatta?
Certo, chi può godere di un lauto vitalizio – legittimo, per carità – probabilmente tende ad avere una percezione diversa della realtà, perché, parliamoci chiaro, non ha le stesse necessità di uno che vive in via Algeri o in via Isole Molucche. Però, se la città è ridotta così, se arranca costantemente negli ultimi posti di tutte le classifiche sulla qualità della vita, sull’economia, sulla sicurezza, non è certo colpa del sindaco, degli assessori o della singola amministrazione, o almeno, lo è solamente in parte.
Alcune cose sono state fatte, è vero – il porta a porta su tutte – ma tanto è rimasto com’era e in alcuni casi è perfino peggiorato per incuria e per il trascorrere del tempo. Quello che è certo è che scaricare tutta la responsabilità sugli amministratori è utile solo a pulirci le coscienze, a fare finta di niente, a fare un po’ le vittime, perché in realtà i problemi di questa città sono complessi e cronicizzati e hanno a che fare con il tessuto sociale e produttivo, con le istituzioni, le aziende, le dinamiche incancrenite, il sopruso e l’apatia. Fingere che non sia così, buttarla sul problema di comunicazione è come nascondere la polvere sotto al tappeto.
A Siracusa si vive male nonostante il mare perché non esistono servizi e se ci sono, sono scadenti, parziali, circoscritti e incompleti, la classica coperta che se tiri da un lato lascia scoperto l’altro.
C’è un bus che un anziano può prendere per tornarsene a casa in via Melilli dopo una passeggiata in Ortigia?
Quanti giovani professionisti staccano fatture per cifre miserrime e aspettano invano, per mesi e mesi, che vengano saldate da signorotti locali che poi magari sono in prima fila dietro la processione della santa e si battono il petto?
Si può andare in treno a Palermo senza metterci tanto tempo da dimenticare il perché ci si stava andando?
Quanto sono i tempi medi di attesa per una Tac?
Quante Apicalessino in controsenso in via Pompeo Picherali?
Vogliamo parlare di qualità dell’aria e di emissioni?
Quante donne assunte nei negozietti dei centri commerciali inaugurati in pompa magna, con le dimissioni in bianco già firmate in caso di gravidanza?
Quanti posti negli asili comunali?
Quanti parchi per i bambini ci sono in città (parchi veri, no aiuole con il fango e l’altalena scassata)?
Quanti dehors abusivi o indecenti alla faccia di qualsiasi pudore e decoro urbano?
Quante estorsioni nell’ultimo anno? Quante denunce?
Quanti marciapiedi occupati da carrellati dei rifiuti?
Quante strade senza marciapiedi e senza illuminazione?
Quanti scivoli per disabili? Quanti di questi scivoli sono occupati da una macchina? Sempre la stessa macchina.
Quanti parcheggi?
Quante strisce pedonali ancora visibili?
Quanti cinema, quanti teatri, quante biblioteche?
Quanti fallimenti, assegni protestati, pignoramenti e lavori in nero?
Qualità della vita è tutto questo, la somma di condizioni materiali come reddito, lavoro, situazione abitativa e dimensioni immateriali come salute, formazione, cultura, ambiente, sicurezza, impegno civico e tempo libero.
Questa la situazione, riusciremo ad invertire la rotta? Io la vedo male, ci vorranno anni, decenni, secoli per scalare quella classifica, perché quello che si finge di non capire è che la qualità della vita è una componente fondamentale dell’attrattività di un luogo. Più è alta, migliore sarà lo sviluppo urbano, perché attrae capitali, idee nuove, lavori dignitosi, progetti sostenibili e non il solito consumo di suolo per il mega resort sul mare o l’ennesimo ristorantino improvvisato con i tavolini in mezzo alla strada, che serve pescato di frodo, non emette ricevute e non paga manco la Tari.
