Chissà cosa scatta in ognuno di noi quando ci addormentiamo esausti sul divano guardando la tv e allora la persona al nostro fianco prende il telecomando e cambia canale e noi ci svegliamo di soprassalto e indignati e diciamo: “no, che fai, rimetti lì, lo sto guardando” e quella, sconsolata, asseconda la nostra richiesta e allora noi ci riaddormentiamo soddisfatti.
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Portobello, mio nonno, il banco dei pegni e Maradona
Ieri ho ricevuto una telefonata e dall’altra parte della cornetta una voce femminile mi ha chiesto se avessi avuto modo di vedere la nuova edizione di Portobello con la Clerici; cosa ne pensassi della trasmissione e soprattutto che giudizio davo alla situazione atroce in cui è costretto a vivere il pappagallo. Io ho ammesso che no, non avevo visto il programma, che quindi non potevo esprimere un giudizio. Dall’altro capo della cornetta, la voce quasi indispettita ha detto: “quindi non ha un’opinione sul povero pappagallo? Allora si disinteressa di quello che accade intorno a lei?”. “Certo che no – ho detto quasi imbarazzato – ma che c’entra? Non è certo per ignavia, né per disinteresse alla causa animalista, semplicemente non sapevo che rifacessero Portobello, però…”. Non ho fatto in tempo a finire la frase che ho sentito il tu tu tu tu della comunicazione interrotta. Ammetto che la cosa mi ha un po’ infastidito, tanto che nel pomeriggio ci ho ripensato su.
Non guardo molta tv, quasi mai quella generalista. Non la guardo per due ordini di fattori. Il primo è tecnico: non mi funziona il digitale terrestre per un problema di antenna condivisa con un vicino e che non ho mai cercato di risolvere. Il secondo etico, perché ogni volta che la guardo c’è il figlio di Facchinetti o la Iva Zanicchi che parlano di macroeconomia o di flussi migratori oppure una tronista di mezza età che piange per un’esterna andata male e poi tutti si mettono a ballare. Da quando non c’è più dibattito ma singole interviste senza contraddittorio ho smesso di guardare anche i programmi politici.
Insomma, se non c’è un film valido, una serie intrigante, una partita importante, preferisco sintonizzarmi su canali secondari e guardare programmi che non richiedano attenzione, in questo modo, la sera, posso contemporaneamente fare altro: scrivere mail, cazzeggiare sul web, organizzare le cose da fare nella settimana.
Questa scelta mi ha spalancato un mondo che non conoscevo: Banco dei Pugni, Affari al Buio, Affari di Famiglia; Affari a Quattro Ruote, Rimozione Forzata, ma anche Chi veste la Sposa: mamma contro suocera, Quattro matrimoni, Cops, Omicidi a circuito chiuso, Quattro Ristoranti, Quattro Hotel, e tantissimi prodotti televisivi di questo tipo.
Li guardo e ogni tanto alzo gli occhi e dico: “Minchia! L’hanno sgamato”, riferendomi all’assassino scoperto tramite la telecamera di sorveglianza montata sulla chiesa del reverendo Miller a Pocatello nell’Idaho. Donatella alza lo sguardo distratta e dice: “Bestiale! Ora lo processano.”. È un attimo, poi ritorniamo a fare le cose che stavamo facendo prima.
Come Portobello, questi programmi seguono un format ben preciso, sono vari ma sempre ripetitivi, girano in loop, cambiano le storie, le avventure, in alcuni casi i personaggi, ma tutto rimane sempre uguale. Alla fine stai guardando una cosa nuova ma sai già come andrà a finire. Come in Portobello in alcuni di questi si cercano di vendere cose.
Ma allora perché non l’ho guardato? Eppure da bambino mi piaceva, mi sono ricordato perfino la sigla. Lo vedevano i miei nonni ed io ho un vago ricordo di questo pappagallo che doveva parlare e tutti stavamo con il fiato sospeso in attesa che succedesse qualcosa. Forse una volta ha pure parlato, non ne sono sicuro. Quando arrestarono Tortora mio nonno si indignò moltissimo, si prese proprio una collera. Diceva che Tortora era un galantuomo, una brava persona, che questa storia era una vergogna e poi terminava con un “pagghiazzi”. Io ho letto di Tortora e del suo arresto molti anni dopo e mi ha sempre colpito la profonda dignità di quest’uomo garbato.
Al Banco dei Pugni, un negozio di pegni sulla 8Miles a Detroit, i componenti della famiglia proprietaria dell’attività, litigano sempre tra di loro per stabilire chi farà l’affare migliore. Gli autori puntano molto su questo scontro generazionale che è il leitmotiv del programma. Ad un certo punto della puntata si presenta un problema: di solito occorre buttare fuori dal negozio un energumeno nero di 200 chili che inveisce contro un commesso perché non è disposto a dargli 500 dollari per una tv a tubo catodico tutta scassata. L’energumeno (c’è anche la variante donna di 150 kg, ma in quel caso cerca di vendere un anello con una pietra farlocca) fa come un pazzo, butta la tv per terra, vuole distruggere il negozio e quindi viene trascinato fuori dalla sicurezza. Non basta. Continua ad inveire contro tutti: f**k-bipbiiip, as***le-biiip, bi**h-bipbiiiipbip, mot*******er-bipbiiiip. Poi, una volta fuori dal negozio, quando quelli della sicurezza l’hanno lasciato andare e gli hanno riconsegnato la sua tv, si ricompone un po’ e di solito dice una cosa tipo: “Sai che ti dico amico? Non tornerò più in questo negozio di merda!”. Ed è lì che il proprietario, tale Les Gold – un uomo bianco sulla sessantina con una maglia color crema chantilly con uno scollo a V, catena d’oro con un Cristo gigante al collo e una giacca di pelle vintage – anziché essere sollevato da questa affermazione, si sente ferito nell’orgoglio per l’offesa rivolta al negozio va in escandescenza e grida: “Che cosa? Pezzo di merda, ripetilo sei hai il coraggio”. Allora devono intervenire di nuovo quelli della sicurezza ma stavolta per bloccare Les, perchè gli è partito un embolo e sta per scagliarsi alla catanese contro l’energumeno.
Cosa avrebbe potuto fare Les al posto di Tortora? Si sarebbe accollato l’arresto ed i sette mesi di ingiusta detenzione o si sarebbe scagliato contro le guardie e avrebbe tentato la fuga?
In Affari di Famiglia, un altro banco dei pegni a conduzione familiare ubicato a Las Vegas, si fanno affari di tutti i tipi. A un certo punto arriva sempre un cliente con una foto autografata da Babe Ruth, una Fender Stratocaster di Jimi Hendrix o con un moschetto che dice appartenere al Presidente Washington e chiede 3 milioni di dollari. Spiega che il moschetto è un regalo di suo nonno che a sua volta l’aveva ricevuto dal nonno al quale l’aveva affidato il bisnonno il cui nonno aveva combattuto al fianco di George Washington a Pittsburgh. Rick, il titolare, dopo un breve excursus storiografico su Washington e la battaglia di Pittsburgh, dichiara di non essere in grado di valutare il fucile e che è costretto a chiamare un esperto. L’esperto passa in rassegna ogni singolo pezzo del moschetto e poi sentenzia: “Purtroppo è una copia del 1953, si capisce da questi intarsi sul calcio del fucile, lo vedi? Dovrebbero essere degli archi invece sono delle collinette”.
“Quindi quanto vale?”. Gli chiede Rick
“Questo moschetto può valere al massimo 600 dollari”. Ribatte sicuro l’esperto.
“Amico, hai sentito?”. Fa Rick al proprietario del fucile. “Vuoi ancora venderlo e se sì, a quanto?”.
“1 milione di dollari – risponde il tizio – per me ha comunque un valore affettivo”.
Ecco, forse avrei dovuto rispondere così alla donna al telefono, avrei dovuto dire guardi, in tutta sincerità devo dirle che non ho visto il programma e che non lo guarderò mai, ma che sentire pronunciare quel nome – Portobello – mi fa riaffiorare ricordi teneri e sbiaditi di una infanzia lontana, quindi per una questione affettiva e tenendo conto delle leggi sullo sfruttamento degli animali, le risponderò dicendole che secondo me, il pappagallo – per quanto costretto a lavorare con la Clerici – non se la passa così male, sicuramente non peggio di come se la sono passata l’amatissimo pappagallo prigioniero per vent’anni nella gabbia delle signorine Testone alla Borgata o Maradona, il merlo obeso e socievole del vecchio bar di piazza Matila che fra un pezzetto e un altro offertogli dagli avventori, a fine giornata ingurgitava il corrispettivo di due cornetti, una raviola e un trancio di sfoglia prosciutto e formaggio.