Varcata la soglia dell’ufficio si è investiti da un vociare indifferenziato di utenti che si fomentano tra di loro, maledicono il prossimo e scagliano anatemi contro l’amministrazione comunale, le tasse, “i bullette” e tutto l’indotto. Ci sono anche persone civili ovviamente, si riconoscono perché non urlano e sono sedute o appoggiate lungo il perimetro del muro in attesa del loro turno. Il distributore dei numeri è preso di mira da un’orda assatanata di contribuenti che preme contemporaneamente tutti i pulsanti disponibili accaparrandosi così decine di biglietti Tasi, Tari, Tarsu, Imu… tutto, generando file, confusione e una terribile tensione nell’aria. Per fortuna un impiegato raggiunge con regolarità la sala d’aspetto per calmare i più scalmanati, dà consigli su quale numero prendere, e smista alcuni utenti ai piani alti per “consulenze” più complicate. Parto dalla premessa che per gli impiegati, avere a che fare tutti i giorni con persone che urlano, che non capiscono un cazzo e che si impuntano su fantomatiche norme che non hanno riscontro nella legge italiana, sia frustrante e molto impegnativo. Sono altresì convinto che per quanto scalmanati ed ignoranti, queste persone sono pur sempre degli utenti di un ufficio pubblico che dovrebbe essere, non dico accogliente come uno di Merano, ma quantomeno dignitoso. Perché in un contesto degno, anche i peggiori tendono a darsi una calmata. Questo invece è buio, con file di sedie fatiscenti, sporche, distrutte. Una location da “I guerrieri della notte”, con tanto di luce al neon intermittente.
Prendo il numero, ci sono 14 persone prima di me, ma è un conteggio fasullo. I numeri scorrono veloci perché sono stati presi a casaccio un po’ da tutti, ma alla fine, quelli che devono rivolgersi al mio sportello sono davvero pochi.
Non entro nel merito dell’incontro-scontro con il dipendente pubblico, ma sin dall’inizio ho percepito un irritante preconcetto nei miei confronti. Ho capito che questi dipendenti in trincea, costretti a fronteggiare orde di barbari in una guerra di logoramento come sul Piave, tendono a non ascoltare ed a mettere subito le mani avanti. A differenza di molti, non ero lì per urlare “a chi spacchiu siti” o “ma secunnu lei avissi a paiari sta bulletta? E cu quali soddi?”, ma volevo sincerarmi che il regolamento ICI – che avevo preventivamente scaricato dal sito del Comune di Siracusa – fosse stato applicato al mio caso.
Non c’è stato verso. Prima mi è stato detto che non capivo niente – particolare in generale abbastanza veritiero quando si tratta di tributi, ma nello specifico avevo studiato tre giorni e come per l’interrogazione al liceo, mi sentivo non dico preparato, ma pronto a strappare una gratificante sufficienza – poi, che il regolamento a cui mi riferivo non esisteva. Ho declamato passi del testo in questione come un profeta apocrifo, ho cambiato strategia e assunto i toni del maestro Perboni del Libro Cuore, ma niente. Non riuscivo ad ottenere alcuna risposta, il tempo passava ed entrambi ci innervosivamo per una incomunicabilità totale, come se lui fosse stato un padre pellegrino sceso dal Mayflower e io un indiano d’America in mutande di pelle di daino e dedito alla pesca con lancia.
Per uscire dallo stallo ho fatto una seconda domanda inerente alla faccenda, il mio piano B. Non l’avessi mai fatto. Confusione, sudori freddi, accuse, date sbagliate, sguardi torvi, indirizzi di residenza sbagliati, mani che maltrattano tastiere di PC, persino città sbagliate, ma nessuna risposta certa. Scopro che nel 2013 mi sarebbe stato notificato un avviso di pagamento ma per sapere dove, devo fare una richiesta scritta. Chiedo il modulo e compilo il form. L’impiegato ribadisce che non capisco niente e che non devo scrivere il numero della cartella in mio possesso ma quello dell’avviso che non ho mai ricevuto. Gli faccio notare che la lingua italiana, a differenza del regolamento ICI, è codificata e non si può interpretare sommariamente.
Apriti cielo, la mia considerazione sull’italiano l’ha fatto andare su tutte le furie. Si alza e se ne va imprecando, mi lascia lì allo sportello, incredulo e incazzatissimo. Purtroppo la mia siracusanità ha preso il sopravvento e accecato dall’ira, l’ho raggiunto chiedendogli il nome e millantando che avrei riferito al suo superiore, all’assessore al ramo, al sindaco, alla deputazione di Santa Lucia, al Gabibbo e ad altri potenti, di questo increscioso episodio. Mi sono vergognato come un tesserato PD in un forum di fanatici a cinque stelle per questa triste, modesta e mediocre reazione, ma ormai avevo perso le staffe. Si possono comprendere tutte le variabili: ambientali, culturali, antropologiche, sociali. Le difficoltà di comunicazione e le giornate storte; i nervosismi personali e le frustrazioni di una vita, ma che un dipendente pubblico molli tutto e se ne vada lasciandoti allo sportello per me è inconcepibile. Mentre raccoglievo le mie cose per andare via ho pensato a tribunali intasati da miriadi di stronzate, a Commissioni tributarie con calendari così ingolfati da andare ben oltre le più nefaste previsioni di Nostradamus e alle responsabilità degli uffici pubblici che concorrono a generare tutto questo e mi sono detto che forse non tutti possono fare il front office.
Uscito dall’edificio ho ritrovato l’impiegato che mi invitava a portargli davanti tutti i potenti che avevo citato e che ci avrebbe pensato lui a sistemarli per bene.
Volentieri – gli ho risposto sarcastico – mi ripete il suo nome?
Ma o’fanculo va – ha chiosato rientrando in ufficio.
Poi sono tornato a casa.