L’Ultimo Comizio

Per comizi di chiusura campagna elettorale Floridia e/o Augusta, vendo discorsi disarticolati e farciti di luoghi comuni per “cantitati incantitabili”. Vergognomi assai ma necessito soldi droga.

Discosso chiusura campagna elettorale

Io ho stato molto bene ad essere qui con voi! La città deve vivere chiù mégghiu e u putemu fari solo se riuscendo a campiare le cose. E giunto il momento di campiare per il bene dei nostri figli, dei niputi e di tutti quelli che non arrivano ha fine mese. La mia scelta e stata subito subito, facile facile!!! Il nostro cantitato sintaco e la scelta migliore e dobbiamo vincere perchè la gente è stanca. Basta! Bonu chiù, la gente e molto stanca! (APPLAUSI).

Non si può campare con tutti sti tassi e ca munnizza nelle strate. Quanto i cittatini mi femmuno pi strata infatti tutti mi chietono: “ma quanto campieremo questa città? Quanto potremmo tonnare a pallare di sviluppo, di lavoro per i ciovani, dei sevvizzi pe gli anziani?”.

E io chi ci pozzo rispunniri? A ora canciamo tutti cosi! Fidatevi di me perchè se ho scelto di cantitarmi e sostenere il nostro cantitato sintaco e voi lo sapete che mantengo sempre le promesse. Grazie a tutti!

Zona Retrocessione

Tra i commenti dei risultati del referendum costituzionale mi stupisce lo stupore di chi non si aspettava una vittoria così netta del Sì e confronta i dati di Enna, di Agrigento o di Siracusa con quelli di Bologna, di Trento e di Milano, stigmatizzando l’ignoranza dell’elettore siciliano e sottolineando come al Nord, le percentuali del No siano state molto maggiori mentre il Sud, che in questo modo perderà rappresentanza politica, ha votato compatto per il Sì.

Ma questa rappresentanza politica che andava salvaguardata, esattamente cosa ha fatto per questa gente negli ultimi quarant’anni? Non mi riferisco alle categorie in difficoltà, a quelli sotto soglia di povertà o ai percettori di reddito di cittadinanza, che in un modo o nell’altro ricevono dei sussidi, parlo della stragrande maggioranza dei cittadini, molti dei quali pagano perfino le tasse, ma continuano a vivere come in una macchina del tempo, con le stesse infrastrutture di mezzo secolo fa.

Scuole, ospedali, autostrade e ferrovie, il livello dei servizi offerti al cittadino siciliano è vergognoso, imbarazzante, perfino offensivo. Piovono milioni e milioni e le scuole restano senza banchi, riscaldamenti e carta igienica, perché? Si finanziano progetti faraonici a forma di Pi greco e di minchia che vola e gli ospedali restano sempre sulla carta, in attesa che un commissario faccia una mossa prima di essere sostituito da un altro commissario che ricomincerà tutto da capo, perché? La rete autostradale è ferma agli anni ’70 e il fatto in sé è così surreale che la A18, la Messina-Gela, è stata aperta nel 1971 ma a Gela non c’è mai arrivata e probabilmente non ci arriverà mai. Com’è possibile? Qual è il motivo? C’è una montagna di granito da perforare? Hanno trovato i resti di una civiltà aliena o che altro? È inaudito. Cosa impedisce di terminare i lavori dopo cinquant’anni? Mancano finanziamenti? Non è possibile. I consorzi che si sono succeduti hanno qualcosa da dire in merito? No, ci avrei scommesso, però scommetto anche che i consiglieri hanno ricevuto i i gettoni di presenza e la buona uscita. Vogliamo parlare della ferrovia, che è la colonna vertebrale di qualsiasi Paese civile che si rispetti? Certe volte ripenso ancora a quella strana sensazione di prendere un treno alle nove di mattina a Bologna e arrivare alle dieci a Milano, 212 chilometri in un ora. Visto da qui sembra impossibile. In Sicilia per fare i 250 chilometri che separano Siracusa da Palermo ci vogliono in media cinque ore e un cambio. Ma perchè? Non siamo cittadini italiani anche noi? Dov’è finito il nostro presente? Dove il futuro? Che fine hanno fatto tutti i soldi stanziati negli anni dalle istituzioni? Sono spariti o sono stati dirottati nei corsi professionali di formazione per nails designer e hair stylist? 

In un quadro così sconfortante, per quale motivo i cittadini si sarebbero dovuti battere per proteggere questa rappresentanza politica? E non venitemi a parlare di giurisdizioni, di statuto speciale, di se e di ma, di maggioranze e opposizioni, di noi abbiamo stanziato e loro non hanno completato, perché il punto non è questo e se ancora non è chiaro, sono quarant’anni che qui non cambia mai nulla. Siamo totalmente assuefatti a queste situazioni vergognose che non ci facciamo più caso, solo ogni tanto, se c’è la possibilità di dare un segnale che non ci impegni in prima persona, allora lo diamo, come è successo per questo referendum qui. A nessuno interessava la sacralità della carta costituzionale, a nessuno le possibili difficoltà di un parlamento che dovrà riscrivere i suoi regolamenti, a pochi la tenuta del Governo. Quello che interessava era recapitare un messaggio forte e chiaro: siete delle merde. E lo so che si tratta di una odiosa generalizzazione e che c’è una politica che trascende i partiti e che progetta un futuro migliore, ma il messaggio di questo referendum resta questo: siete delle merde e i vostri festeggiamenti sono una pantomima perché per noi, ormai, siete tutti uguali.

Comunque, io non credo che il nuovo impianto costituzionale, con la riduzione di un terzo di parlamentari tra Camera e Senato, gioverà alla nostra situazione di cittadini siciliani di Serie C. Anzi, per come la vedo io, che ho votato No, sarà anche peggio di così e avremo meno possibilità di avere dentro le istituzioni qualche persona valida. Poi, ognuno è giusto che la pensi come vuole e se c’è davvero chi che crede che con la prossima legislatura con 600 parlamentari al posto di 900, inizieranno i lavori dell’alta velocità ferroviaria, termineranno i cantieri autostradali e la A18 arriverà a Gela, sorgeranno ospedali nuovi che scongiureranno i viaggi della speranza e troveremo  finalmente la carta igienica nei bagni delle scuole dei nostri figli, beh, auguroni. 

Senza Quorum

– Ciao Mpare come semu?

– Oh, ciao … tutto bene, grazie.

– A cosa ra Fontana di Diana di ieri m’ha fatto morire re risate!

– Eh, eh, eh. Grazie.

– Stai antanto a votare?

– Sì.

– Io ho già votato. Era u primo! Ouh, mi raccumannu, vutamu bonu ah… mantiamo a casa a sti bastaddi e rispammiamo macari un sacco ri soddi.

– A occhio e croce mi sa che votiamo diversamente…

– Tu voti Sì? A chi spacchiu si… ah ah ah ah! Avà, veramente???

– No, io voto No. Tu piuttosto, da quello che dici hai votato Sì.

– A quale! Io No ho votato?

– Scusa, ma perchè?

– Perché sta casta di merda se ne devono andare a casa. Bonu chiùi.

– Il discorso sarebbe un po’ più complesso di così ma comunque… mi sa che hai sbagliato, dovevi votare Sì. Vedi che il referendum è confermativo, non abrogativo. 

– Cioè? Sì per dire No?

– No. Sì per dire Sì. Sì alla modifica degli articoli della costituzione eccetera eccetera

– Aspè, mi sto confontento!

– Non ti confondere, è semplice

– Quinti mi sta ricennu che ho votato per la Casta?

– Se la vuoi vedere così… ma tanto 900 o 600 sempre casta è, non credi?

– Vero è, tutti latri sono e pigghianu quacchi vintimilaeuromisi!!!

– Ben detto…

– E ci pigliano per il culo ca un giorno dicono una cosa e il giorno dopo su rimanciano.

– Non avrei saputo dire meglio…

– Però se i mannunu a casa si rispammiano un sacco di soddi.

– Dicono un caffè.

– Mpare, un café o iornnu su 30 euro o misi… mottiplicato pi tutti l’italiani…

– Un caffè l’anno.

– Minchia di pillirini…schifìo.

– Non ci pensare.  

– Vabbè va… pigghiamuni u cafè… offro io.

– Un’altra volta dai… ora vado, stammi bene.

– Ciao mpare, grazie. Sempre nummero 1.

– Ciao e grazie a te.

L’editto

Musumeci non si ferma più: entro 24 ore fuori dalla Sicilia tutti quelli che si chiamano Iaia, Cugno e Licitra;

– tutti quelli che dicono arancina;

– tutti quelli che raddoppiano avverbi e sostantivi: ora ora, strade strade, casa casa, sulu sulu;

– tutti quelli che dicono “Montalbano Sono” e “Di pirsona pirsonalmente”.

– tutti quelli che guidano col braccio fuori dal finestrino;

– tutti quelli che nella guantiera mista di dolci mignon fanno mettere anche i diplomatici.

 

Gli ultimi saranno sempre gli ultimi

È così evidente che l’episodio del ragazzo extracomunitario che si aggira nudo per le strade di Cassibile è un pretesto, che non varrebbe la pena nemmeno commentare, ma invece è diventato un caso eclatante, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come se il problema fosse la minchia di fuori di un giovane in stato confusionale e sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio e non la situazione vergognosa in cui ogni anno si vengono a trovare centinaia di lavoratori agricoli extracomunitari. Davvero, in tutta questa vicenda della baraccopoli di Cassibile, comunque la pensiate, l’aspetto più vergognoso oltre al razzismo sfacciato, non è l’ignoranza serpeggiante, la guerra tra poveri, gli sforzi delle associazioni di volontariato, il sindacato o i parrini egocentrici, no, l’aspetto più vergognoso è l’assoluta inadeguatezza delle istituzioni che in tutti questi anni non sono riuscite a trovare una soluzione al problema. Tutto il resto è secondario e sconfortante. 

Ogni anno è sempre la stessa storia, seguendo i ritmi della terra, arrivano da tutta Italia centinaia di ragazzi extracomunitari che si spostano in cerca di lavoro. Qui il lavoro c’è e principalmente consiste nel raccogliere patate nei campi. Non sto parlando di una patata qualunque ma della patata novella di Siracusa, una produzione tipica, un fiore all’occhiello della produzione agricola, un ortaggio che il Ministero delle politiche agricole ha voluto inserire nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Per la provincia di Siracusa, la patata novella rappresenta la più importante risorsa ortofrutticola, più del pomodorino di Pachino, più del limone Igp. I ragazzi che la raccolgono si accampano nei pressi di Cassibile, una frazione di Siracusa, a due passi da dove fu firmato l’armistizio della seconda Guerra Mondiale. Lì, improvvisano un campo, una baraccopoli indecente che però è tutto quello che hanno. Tra i filari di ulivi e di carrubi, i più fortunati di loro hanno un sacco a pelo e dormono dentro una tenda, gli altri si arrangiano con dei giacigli improvvisati e passano la notte fuori, sotto un foglio di plastica tirato tra due rami.

Quest’anno il Comune, che può fare ben poco, ha fatto installare un tubo con l’acqua corrente, dei bagni chimici e un punto luce per ricaricare i telefonini, tutte concessioni scaturite dall’emergenza Covid, per evitare che in pieno lockdown, così dicono i più smaliziati, i residenti della baraccopoli si potessero recare in paese per lavarsi alla fontanella, suscitando l’indignazione di qualche paesano più ottuso. Per la serie: “ma come, io mi devo stare a casa e sti sabbaggi pono uscire e antare alla fontanella?”. In realtà, quello che la stragrande maggioranza di questi ragazzi fa è svegliarsi prima dell’alba, raggiungere il ciglio della strada e aspettare un caporale che li caricherà su e li porterà in qualche fondo agricolo della zona o più a sud, verso Rosolini e Pachino a farsi sfruttare per dieci ore, senza alcuna tutela, facendo il lavoro che nessuno vuole più fare, guadagnando cifre ridicole che per di più verranno decurtate delle percentuali per i caporali. Si parla di emergenza ma in tutta questa vicenda non c’è niente di emergenziale perché è una storia che si ripete ogni anno, sempre uguale a se stessa, una storia di sfruttamento, di diritti negati e di degrado. Le leggi per fronteggiare tutto questo ci sono, le norme per colpire pesantemente le aziende agricole compiacenti anche, se non si fa abbastanza è solo per mancanza di volontà.

I cittadini di Cassibile hanno tutto il diritto di protestare e di chiedere che una volta per tutte venga risolto il problema, nessuno vuole vivere accanto ad una baraccopoli fatiscente e pensare il contrario sarebbe una ipocrisia bella e buona. Del resto, neanche i braccianti extracomunitari vogliono vivere in queste condizioni, ma loro non hanno altre alternative. I toni della protesta invece non sono condivisibili: dal servizio patetico e in un italiano zoppicante che sostiene che il ragazzo girasse nudo per una questione di cultura tribale, ai commenti vergognosi sui social, viene fuori un uno spaccato preoccupante di razzismo e profonda ignoranza che non serve a niente se non a fomentare odio e intolleranza e inchiodarci alle nostre miserie.

C’è un limite a tutto

Dopo ogni attentato terroristico di matrice islamica, dopo ogni sequestro, rilascio di ostaggio, pagamento di riscatto o perfino costruzione di moschea in terra italica, ciclicamente, ritorna nei thread e nelle discussioni il suo nome. Tu stai portando avanti le tue argomentazioni, con la consapevolezza del tempo che stai sprecando inutilmente cercando di esporre un concetto ed a un certo punto, arriva uno che, convinto di sbaragliare tutto, se ne esce con un perentorio: “e allora la Fallaci?”. Come se il solo pronunciare il nome della giornalista e scrittrice fiorentina sancisse definitivamente la fine del dibattito per manifesta superiorità. Ora, con tutto il rispetto possibile per la scrittrice e per la donna, ma a me, di quello che pensava la Fallaci dei mussulmani, m’interessa fino ad un certo punto e non perché sia prevenuto nei suoi confronti, o perché voglia santificare una religione che non conosco e ancor meno glorificare un’estremismo che aborro, ma semplicemente perché la Fallaci non rientra tra i miei orizzonti culturali. Certo, ognuno è liberissimo di prendersi i suoi riferimenti, ci mancherebbe, ma schermarsi dietro il pensiero della Fallaci per ogni aspetto che riguarda il mondo islamico non è un po’ semplicistico? Me lo chiedo perché in questi giorni, leggendo in giro tra i commenti e le notizie sulla liberazione di Silvia Romano, mi sono imbattuto in concetti interessanti, in visioni della società molto complesse, c’era chi citava Hobsbawm, chi Lévi-Strauss, o Gilles Kepel o Karl Popper. Ma davanti a questa moltitudine, davanti a questa complessità, si può pensare davvero di avvantaggiarsi sul piano dialettico e concettuale con un semplice: “e allora la Fallaci?”. Io non credo, mi sembra come se al bar, davanti ad una sanguigna discussione sul calcio, confrontando un gol di Ronaldo, un dribbling di Messi o una giocata di Salah, arrivasse uno e dicesse: “e allora Giannichedda?”. Ma voi, scusate, ma che faccia fareste? Io rispetto Giannichedda, anche Gary Medel e Angelo Palombo, però, dai, c’è un limite a tutto.

Amaro in Bocca

La notizia della chiusura delle indagini da parte della Procura Militare di Roma sull’omicidio di Emanuele Scieri e l’accusa formale verso i caporali Antico, Panella e Zabarra, è uno piccolo squarcio sul quel muro di gomma su cui la famiglia e gli amici di Emanuele si scontrano da più di vent’anni, ma lascia l’amaro in bocca. La ricostruzione dei fatti è quella che sappiamo ormai tutti, quella cioè che la Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta da Sofia Amoddio, nella scorsa Legislatura, ha accertato grazie a nuovi elementi di prova ed a nuove intuizioni talmente evidenti da spingere il Procuratore Capo di Pisa a riaprire le indagini e ad indagare i tre caporali e il generale Celentano, che all’epoca dei fatti, era capo supremo del rinomato Corpo d’élite dell’esercito italiano. Dopo che la procura di Pisa aprì il fascicolo e spiccò i primi avvisi di garanzia, finalmente, dopo vent’anni, si ridestò dal suo torpore anche la Procura militare di Roma che iniziò, tra precisazioni imbarazzanti sul nonnismo e richieste di atti secretati, un suo filone di indagine. Certo, non si capisce bene su quali nuove prove, dato che quelle della Commissione Parlamentare d’Inchiesta erano in possesso solo della Procura di Pisa, ma tant’è.   

La differenza sostanziale tra le due inchieste è piuttosto evidente: mentre la Procura della Repubblica di Pisa oltre ad indagare i tre caporali, vaglia anche la posizione del Generale Celentano, probabilmente ritenendo che ci sia una responsabilità dei vertici del Corpo e della Caserma sull’accaduto (cadavere ritrovato dopo tre giorni, ispezione la notte di ferragosto del generale, altra ispezione degli ufficiali della caserma il giorno successivo), per la Procura militare di Roma gli eventuali responsabili sarebbero solamente i tre caporali, unici indagati. Ecco, per me questa mancanza è inaccettabile. Sono prevenuto, lo ammetto, ma i miei preconcetti si sono formati in vent’anni di mancanza di ammissioni di responsabilità, nei patetici tentativi di far credere che Scieri si fosse suicidato, che fosse depresso e assumesse psicofarmaci, che si fosse arrampicato in cima a quella torretta di asciugatura dei paracadute, nel cuore della notte di quel 13 agosto 1999, per cercare la linea del telefonino.

Quello che è successo quella notte di agosto lo si evince dalla relazione finale della Commissione, lì c’è un’affresco, vivido e terribile di cosa era e come veniva gestita la Caserma Gamerra in quegli anni. Oggi sappiamo quello che è successo ad Emanuele poteva accadere a chiunque altro perché lì, nel presidio dello Stato, nella caserma di eccellenza di uno dei corpi militari più blasonati dell’esercito italiano, le regole erano state riscritte e il sopruso e la violenza erano di casa. E in quel clima avvelenato e senza controllo della caserma Gamerra, un atto di nonnismo come quello che ha causato la morte di Emanuele Scieri, a cui fu imposto di scalare a forza di braccia una torretta nel cuore della notte, gli furono pestate le mani per farlo cadere e fu lasciato agonizzare fino alla morte, non è semplicemente un colpo di testa di un singolo o di tre caporali esaltati e violenti, ma una pratica parallela, accettata e tollerata nell’indifferenza e nella mancata assunzione di responsabilità.

Primo Maggio

Oggi, alle 16:00, sul canale Youtube e sulla pagina Facebook di Arsonica, ci sarà la diretta del concertone del Primo Maggio. Questo è il mio video contributo. Sarà un’edizione molto particolare perché condizionata dal virus, quindi, un palco virtuale sul quale si esibiranno più di trenta artisti e poi interventi su temi come futuro, società, lavoro, diritti. È un modo strano di festeggiare il Primo Maggio, con la gente a casa, le attività chiuse e milioni di lavoratori piombati nello sconforto, ma proprio in un periodo così complicato, sarebbe il caso di tornare a parlare di lavoro come principio fondante della Repubblica, come del resto, avevano stabilito quei signori che più di settant’anni fa scrissero la nostra Costituzione. Buon Primo Maggio a tutti, vergognomi assai, ma necessito soldi droga.

Certo che un primo maggio così non me lo sarei mai immaginato, davvero. Ne ho fatti tanti, qui, e in giro per l’Italia, quando suonare era la cosa più bella della mia vita. 

Per me il primo maggio è sempre stato caldo asfissiante, sudore, pruvulazzu, soundcheck fatti male, jack rotti e batteristi, batteristi che vogliono strafare e si montano il fottutissimo piatto china. 

Il Primo maggio è quella sana e imprescindibile rivalità tra le band, la finta cortesia, quei pietosi: ah, siete in scaletta dopo di noi? Ok, non fa niente… Quando invece stiamo rodendo di rabbia per il torto subito!

Il Primo maggio sono le pizze da asporto che arrivano fredde, gli spinelli consumati nel backstage prima di salire sul palco e le lattine di birra economica con quel gusto metallico che lasciano in bocca, tu bevi un sorso e come dice Peppere, è come cacciarsi in gola un pugno di monete.

Il Primo maggio sono anche i discorsi ciclostilati dei sindacalisti sul palco, le bandiere del CHE, i banchetti di Amnesty ed Emergency, i numeri della questura e quelli degli organizzatori che vuoi o non vuoi, minchia, ma com’è che non coincidono mai? 

Il Primo maggio sono le ragazze che si tolgono la maglietta e restano in reggiseno e quelli che speravano di incontrare quella che amano e delusi se ne tornano a casa prima, da soli. Le comitive organizzate di amici e le amicizie che nascono spontanee cantando una canzone e condividendo un’emozione.

Ecco, Tutti dovrebbero avere il diritto di vivere queste esperienze, perché non c’è niente che possa rimpiazzarle. Sarà questo il futuro della musica live? Rinunciare alle valvole, agli overdrive, alle code per entrare e allo stare gomito a gomito? Opteremo per concerti in diretta streaming, ascoltati dalle casse di un PC che gira ancora con Windows 2000? 

Io spero di no. Lo spero con tutte le mie forze perché la musica live è vita che scorre e pulsa e io non vedo l’ora che le città si ripopolino di band e di concerti. Spero che questo virus sia servito a qualcosa e che riusciremo a liberarci dalle storture della società, dallo sfruttamento, dal lavoro sottopagato, dal razzismo e una volta per tutte, da quella violenza atroce che è propinare 2 ore di cover arrangiate in maniera discutibile, suonare con le chitarre scordate calanti, montare la doppia cassa per un live in pizzeria e portare avanti il dogma della tonalità originale, che tante vittime ha già mietuto tra gli spettatori incolpevoli. 

Domani avremo l’enorme responsabilità di ricostruire dalle macerie e creare un mondo migliore, più giusto. Non sarà cosa facile, ma se io posso cambiare e voi potete cambiare, minchia! Pure quelli dei piano bar e delle cover band possono cambiare… o no?