Lettera di Natale

Caro Babbo Natale,

ho quarantanove anni ed è la prima volta che ti scrivo. A casa mia, andava per la maggiore la Befana per cui, volente o nolente, a lei mi rivolgevo per chiedere piccoli regali e per esprimere desideri. La Befana nella weltanschauung della mia famiglia era una figura che incarnava meglio gli ideali di socialdemocrazia che ci ispiravano, mentre tu, sei sempre stato legato a un certo tipo di consumismo capitalistico che non era ben visto a casa. Era un mondo in cui questa dicotomia era ancora forte, ma adesso, che la tua parte ha vinto a mani basse, ho sentito l’impulso, quasi il dovere di scrivere a te, perché, proprio ieri, a Siracusa, nella mia città, è transitato il tedoforo con la fiaccola olimpica delle #Olimpiadi invernali Milano – Cortina, anzi, a dirla tutta, la fiaccola è stata condotta da tanti atleti siracusani e quella che ha acceso il braciere olimpico era una donna. Irene Burgo si chiama, ed è una campionessa di canoa. Scusa la digressione, il fatto è che mentre tornavo a casa e vedevo la città transennata, le forze dell’ordine schierate e le autorità imbellettate per il magnifico evento sportivo, ho percepito un certo disagio pensando allo stato delle strutture sportive qui da noi.

Ti prego non cestinare subito questa lettera, perché almeno negli intenti non vuole essere un attacco miope e sconclusionato all’amministrazione, ma uno spunto di riflessione e una richiesta di aiuto.

Mia figlia, tua grande fan – a proposito, ma sta cosa di quest’elfo di Natale che ogni sera deve fare scherzetti minando e sabotando dinamiche familiari faticosamente costruite negli anni è roba tua? – comunque, come ti dicevo, mia figlia nuota alla Cittadella. Non so se conosci la Cittadella dello Sport, ma credimi, pur essendo una struttura degli anni ’60 mantiene ancora un fascino unico e soprattutto, cosa più importante di tutte, è frequentata da migliaia di ragazzi e ragazze, bambine e bambini che imparano, si allenano e gareggiano in svariate discipline: nuoto, pallanuoto, bici, tennis, pattinaggio, basket e sono sicuro anche yoga, zumba e calisthenics.

Ecco la Cittadella dello Sport, in una città che non da molta attenzione a bambini e ragazzi dovrebbe essere un punto di aggregazione fondamentale e meriterebbe cura e dedizione. Purtroppo non è così. Inutile che cerchi di spiegarti lo stato in cui si trovano gli spogliatoi, perché immagino sia una condizione abbastanza comune a molti impianti sportivi pubblici del Sud, però, l’acqua fredda in vasca, le docce – tre in tutto – con un filo d’acqua calda, il fatto che alle 18:40 sistematicamente si stacchi la luce in tutto l’impianto sportivo e quelli in vasca continuano a nuotare con gli insegnati che si arrangiano col le torce dei telefoni e quelli nello spogliatoio devono aspettare per asciugarsi i capelli, per me è davvero inconcepibile. Anche perché, queste mancanze, alla fine finiscono per penalizzare le società sportive e gli insegnanti, che, almeno nella mia esperienza, sono professionali, attenti e scrupolosi.

Tu ti occupi di bambini, penso possa capire lo stato di frustrazione che può avere un genitore trovandosi in questa situazione. A dire il vero ‘sta frustrazione nasce da una serie di fattori, da una sommatoria di cose che alla fine ti fa dire: ma vaffanculo.

Non facciamo altro che parlare di diritti dell’infanzia e poi gli garantiamo condizioni di questo tipo?

Caro Babbo Natale tu puoi fare qualcosa? Mi sembra un po’ irrispettoso chiederti l’acqua calda, ma pensi ci possano essere i margini per intervenire oppure è solo una mia percezione sballata e in verità va tutto va benissimo? Come affrontereste la cosa al Polo Nord? È solo la Cittadella o anche il Campo Scuola? Io non lo so.

Quello che so è che quando viaggio e vedo quanta attenzione e cura vengono date ai più giovani, soprattutto all’estero, mi viene un magone che guarda, non ti dico.

Va bè, insomma, hai capito la situazione. Certe volte, ti confesso, vorrei vivere in Lapponia anche io, una bella casa di legno, la stufa, la differenziata al 100%, la carne affumicata, l’aringa fermentata a colazione, la sauna, i servizi integrati per l’infanzia migliori del mondo e chi si è visto si è visto.

Comunque, non vorrei dirti ma secondo me tu, sotto sotto, con quella barba lì… sai com’è…con la carenza cronica di leader democratici… il tuo essere rassicurante… dico, ma un pensierino non ce l’hai mai fatto?

Tanto ti dovevo

I 400 metri

Sono certo che se Rudolf Clausius, padre dell’entropia, fosse passato da via Regia Corte all’orario di entrata (e anche di uscita) degli alunni, avrebbe sorriso sotto i baffi e avrebbe detto: “Minchia! Anni di studio, teorie, esperimenti empirici e poi bastava passare da qui.”.

Non so cosa succede negli altri plessi ma l’entrata (e anche l’uscita) dalla Elio Vittorini è un’esperienza che va al di là del bene e del male. 

La scuola, bella, funzionale, moderna – per come può essere moderna una scuola del Sud – ha un piccolissimo problema: sorge in via Regia Corte: un laboratorio urbano dove si testano i limiti della pazienza umana, della fisica dei corpi in movimento e del Codice della strada. 

Lì dentro, in quei quattrocento metri scarsi si condensano tutte le leggi dell’entropia in versione motorizzata: genitori che si incastrano in manovre impossibili, clacson che si sovrappongono in una sinfonia di disperazione, bambini che zigzagano tra paraurti e marmitte bollenti che sputano gas di scarico come se fossero in un videogioco sparatutto.

Forse via Regia Corte è a doppio senso, forse no, non l’ho ancora capito. Mezzo asfalto, mezzo sterrato, con pezzi di cuticchioni e di mazzacani enormi che fanno capolino in quelli che dovrebbero essere stalli per parcheggiare e devastano ogni giorno copertoni di Matiz e ammortizzatori di Panda. Niente marciapiedi ma una fila di paletti tristi che dovrebbero delimitare un “percorso pedonale”, regolarmente occupato da scooter parcheggiati di traverso che ricordano l’alienazione di quelle istallazioni di una certa avanguardia artistica dell’Europa dell’Est che può capitare di vedere alla Tate Modern o all’Hamburger Bahnhof.

In via Regia Corte ognuno si sente nel giusto, ognuno “solo due minuti e me ne vado”. L’ho fatto anche io, per esasperazione, per ribellione, per provare l’ebrezza, tanto poi, smetto quando voglio. In realtà quando inizi a sacrificare un po’ di “bene comune” in nome del diritto alla sosta breve e al “non mi scassate la minchia” è già troppo tardi.

A complicare il tutto, come se non bastasse, ci si è messa la questione dei lavori della nuova mensa – quella che doveva essere e che speriamo sarà il fiore all’occhiello della scuola – è stata bloccata dalla Sovrintendenza per via, si dice nel giro del personale ATA, di un graffito a forma di Peparini datato V secolo a.C. Inoltre, negli ultimi giorni anche il problema di alcuni cornicioni pericolanti. Risultato:  zona recintata, meno spazio per alunni e genitori e ancora più gente in strada.

Ogni tanto c’è un Vigile urbano che si limita a guardare, come se l’allegra famigliola in scooter in tre senza casco o le auto che tentano improbabili manovre per uscire in controsenso non lo riguardassero. è sempre solo, sembra svogliato ma forse è solo impotente davanti a questo caos. Una volta, a seguito di domande incalzanti mi ha detto: “è il mio primo giorno… il tempo di ambientarmi”. Non lo ha ancora fatto. 

Lì fuori, in via Regia Corte, ogni giorno, all’entrata (e anche all’uscita) degli alunni, viviamo impotenti questo Armageddon dove convivono nello stesso metro quadrato, gioia, urla, lacrime, terrore, bambini con lo zaino più grande di loro, papà e mamme con la tuta gold, SUV in retromarcia e capannelli di genitori che si disperano, che protestano e che chiedono a gran voce la chiusura della strada alle auto, all’entrata (e anche all’uscita) degli alunni. È una proposta molto sensata e l’amministrazione dovrebbe seriamente prendere in considerazione, anche perché, l’idea che la viabilità e la sicurezza nei pressi di alcune scuole sia fatta di Zone 30, di aree pedonali e di graffiti con l’arcobaleno, mentre altre sono abbandonate a loro stesse, è francamente insopportabile.

È un discorso di sicurezza, di urbanistica, di termodinamica, di sopravvivenza darwiniana, ci sarà sicuramente qualche direttiva europea a riguardo che il Comune non sta applicando, ma soprattutto è un discorso culturale: le scuole e gli ambienti circostanti andrebbero protetti e preservati e non lasciati nel caos più totale e autoregolati dalla legge del più forte e i bambini, questa cosa la percepiscono ancora meglio degli adulti.

Cos’è la cultura? Mi ha chiesto Bruna mentre tornavamo a casa dopo la scuola. Prima ci eravamo fermati a parlare con i genitori di alcuni compagni di classe su questa situazione ingestibile e a tratti pericolosa all’entrata (e anche all’uscita) degli alunni in via Regia Corte. Mi ha spiazzato, o raccolto le idee e poi ho detto che è l’insieme di tante cose che si imparano, di segni, linguaggi, di regole e di conoscenze che la nonna Teresa ha tramandato a me e io e la mamma cerchiamo di tramandare a lei e lei tramanderà ai suoi figli e così via. Le ho detto che la cultura è il Tempio di Apollo che le piace tanto, la Jupiter di Mozart, Unconditional degli Arcade Fire, le cose che impara a scuola, il potere di ghiaccio di Elsa e la forza d’animo e il coraggio di Anna, fermarsi a pensare, i lieti fine di Peppa Pig, la gentilezza, gli Spielplatz di Berlino, non parcheggiare sulle strisce pedonali anche quando sono cancellate, essere tristi certe volte, il profumo della cotoletta e del pesce d’uovo, le passeggiate in montagna, l’empatia, i bao del koreano, la tv fuori orario con la febbre, andare sott’acqua con gli occhi aperti e la gara di tuffi a bomba. “Quindi la cultura è tutto quello che mi piace” mi ha risposto facendomi sentire molto fortunato. “Sì, dovrebbe essere proprio così, un posto familiare, accogliente, come un mare calmo dove ci si immerge e ci si sente a proprio agio”. “A me il mare piace freddo e la piscina calda!” Ha ribattuto lei. “Ho detto calmo non caldo…” le ho risposto. “Uhm – ha fatto lei – veramente a me mi piacciono anche le onde e tuffarmici dentro…”. 

Al mio segnale scatenate l’inferno

– Hello Russell, how are you? This is Ciccio Italia, the mayor of Syracuse. I got your number from Dolce and Gabbana… I’m calling to gauge your availability for a live performance with your band here!

– Hello Ciccio, nice to meet you! Everyone here in LA talks about the shows in your beautiful city! I’d be happy to come and play at the Greek Theatre in Syracuse! Ahahahaha… At my signal, unleash hell! Ahahahah…

– Uh… but Russell, actually they’re not giving us the Greek Theatre… but there’s the Ara of Ierone available with a mobile structure that…

– What do you mean no Greek Theatre? Are you kidding me?

– No Russell, unfortunately the Sicilian Region… You know… even Adele and Benigni…. the same situation… and…

– I’m sorry Ciccio, no way, no way. I’ll go perform in Noto with Mayor Corrado Figura. Farewell and delete my mobile number.

  • Wait Russell, Russell…

Maniace, tutti contro tutti

Con la nuova stagione turistica e in virtù dei pronunciamenti della giustizia amministrativa, ritorna in tutto il suo splendore la polemica sul Bar Maniace e con essa, le soluzioni Pitacoriche prospettate negli incontri segreti intercorsi tra le parti.

Drastica

Gogna, rogo e vandalizzazione della costruzione. È l’ipotesi caldeggiata dall’associazione “Ortigia Sangue Blu”, da sempre contraria alla realizzazione di qualsiasi opera che non sia prima stata approvata in seduta plenaria. Forte dell’appoggio di esponenti dell’intellighenzia aretusea di alcuni nobili decaduti, richiede a gran voce – come stabilito nel R.D.Lgs n.7 del 1921 – un rogo purificatore e l’abbattimento a colpi di mazza chiodata del “Bar Monstre” ad opera di cittadini sorteggiati tra i più abbienti. La soluzione finale prevede l’esautorazione e la gogna del Sindaco, della sua Giunta. In attesa delle prossime elezioni amministrative, la città sarà retta da un comitato di saggi nominato da una elite intellettuale di residenti in Ortigia.

Sociale

Demolizione dell’opera architettonica e sua ricostruzione all’interno del Parco Robinson. È la proposta dell’associazione “Dame d’altri tempi” e della “Casa del Popolo Gianni Agnelli”. I due soggetti associativi puntano al recupero della struttura e al suo impiego in un contesto sociale periferico dove potrà essere utilizzata come sede della prima scuola di alta specializzazione in spaccio e borseggio intitolata a Polini, Giannelli, Arrow e LeoVince. Il contesto esotico e la presenza di popolazione indigena – che le dame e i compagni della casa del popolo trovano pittoreschi in maniera intrigante – fanno del Parco Robinson il luogo ideale per la formazione delle nuove generazioni di malacarni aretusei.

Concessione

Chiusura coatta della struttura e ridistribuzione delle attrezzature e delle forniture. Perché sprecare una così bella struttura con i frigoriferi integrati? E tutte le sedie e i tavolini, che fine faranno? Se lo chiede il consorzio “10, 100, 1000 sedie e tavolini spaiati” che riunisce i proprietari dei dehors abusivi. Il consorzio ritiene che la costruzione possa essere data in concessione ad un manipolo di esercenti ortigiani. “Un’opera di tale fattura – dicono i rappresentanti del Consorzio – potrebbe rendere unico e dare lustro all’immondo bordello di Piazza Pancali o creare un’affascinante divertissement architettonico in un vicolo ortigiano“.  Il contratto capestro abbozzato dal Consorzio prevede, oltre alle spese di ricostruzione a carico della cittadinanza, l’esenzione totale dalla raccolta differenziata e dal pagamento della Tari, il suolo pubblico gratuito fino alla 4 generazione e l’assimilazione della struttura a luogo di culto per non pagare l’Ici.

Fideistica

Prevede l’istallazione del manufatto architettonico all’interno del Parco delle sculture della pista ciclabile e la sua trasformazione in mausoleo per la venerazione di Francesco Italia. La struttura resterebbe in gestione al concessionario che allestirebbe un museo di cimeli per alimentare il culto del Sindaco. Tra i pezzi in esposizione: la prima bici con le rotelle; il saio di corda degli anni universitari; un paio mocassini dismessi; l’album con le foto di tutte le processioni a cui ha partecipato nel mondo, un lampadario D&Gi guanti di camoscio con le tracce di presunte stimmate e il biglietto di aucuroni degli ex consiglieri comunali Malignaggi e Rabbito.

Colossi

La Fondazione Igor Mitoraj rivela: “Pronta una gigantesca scultura a forma di Francesco Italia!” L’opera del Maestro polacco, interamente realizzata in acciaio corten, sarà posizionata sulla copertura del parcheggio Talete e finanziata interamente con Fondi provenienti dalla nuova Tassa di Soggiorno. La scultura siracusana è già stata accostata ad altri maestosi colossi nel mondo: Il Monumento di Arminio in Germania, La Statua della Libertà a New York e il maestoso Buddha gigante di Ling Shan.

Cinque anni di Te

Comune di Siracusa, Noi Albergatori e Assopanini e Confcavallo, celebrano il quinto anniversario dell’istallazione di “Cavallo Corinzio e Sbizzero”, la scultura entrata nel cuore di tutti i siracusani. Per la critica, l’opera, la cui poetica mette in relazione cultura e sviluppo economico, vuole simbolicamente rappresentare il trait d’union tra mito e sassaemayoness.

Nessuna Autorità

Autorità di Sistema Portuale, arriva il secco NO del consorzio dei Boat Tour Siracusa Avanti Insieme. “Non riconosciamo nessuna autorità di sistema che non abbia un banchetto sul marciapiede di Corso Umberto!”. Con queste parole il presidente del Consorzio ha voluto stigmatizzare l’iter che ha portato al voto favorevole in Senato. Solidarietà da Palazzo Vermexio.

Tubi innocenti

Caro Toi, non lo so, ci sono dei luoghi che hanno una sacralità che andrebbe rispettata e secondo me il Teatro greco di Siracusa è uno di questi. Nulla contro il pop malinconico della Mannoia o contro i  tour della speranza di vecchie glorie finite nel turbinio delle features per sbarcare il lunario. Viva la musica e l’espressione artistica in tutte le sue declinazioni. Viva Mick Jagger a Villasmundo, il televoto di Geolier, il flauto di Pan degli Inti Illimani e la poetica di Lello Analfino. Il punto è: siamo sicuri che il Teatro greco o la Scala di Milano o il Festspielhaus di Bayreuth siano i posti più adeguati per farli esibire dal vivo? Io sinceramente penso di no. Ma non perché non siano bravi o non siano all’altezza. Per quel che mi riguarda c’è più poesia, arte ed emozione in mezz’ora di Jagger e Richards ubriachi che maltrattano una chitarra con l’accordatura aperta e per di più scordata, che due ore e mezza di noia in attesa dell’intervento del Deus ex machina. Non è una questione puramente estetica e di gusti, è una questione di appropriatezza di genere e luogo. 

Che il Teatro sia vecchio e malconcio è cosa risaputa, che sessanta rappresentazioni delle tragedie classiche contribuiscano alla sua lenta agonia pure. Perché dunque aggiungerci il carico da undici? Perché proseguire sulla logica dello sfruttamento totale del monumento che tanti danni ha fatto e sta facendo intorno a noi e nel mondo intero? I limiti purtroppo servono e dovrebbero garantire tutti: dalla velocità in autostrada al periodo del mucco al mercato del pesce, dall’immissione in atmosfera di veleni al limite degli ombrelloni del lido privato sulla battigia. Certo, danno fastidio a molti, qualcuno li reputa perfino odiosi e offensivi e alcuni probabilmente sono inutili, farraginosi e datati, ma il concetto non cambia. 

Trasformare il Teatro greco in una struttura polivalente dove si può fare ogni cosa, dal mio punto di vista mortifica il monumento e lo declassa a sala parrocchiale. Ci è rimasta solo questa eccellenza e che diamine, proteggiamola e tiriamocela un po’. Qua si sono scandalizzati perché la Regione ha aumentato gli oneri di concessione che erano irrisori e offensivi. Poi certo, le eccezioni ci possono anche essere, vuole venire Paul McCartney a fare l’ultimo live della sua vita con Ringo e gli ologrammi di John e George gestiti dall’intelligenza artificiale e che fai non glielo concedi? Ma certo che sì! E il tour che la Mannoia fa nei palazzetti di Bitonto, Taranto, Avellino? No, secondo me no. Più consona l’Ara di Ierone e i suoi tubi innocenti, che già, voglio dire, è tutto grasso che cola, sempre dentro a un Parco Archeologico sei.

Se mancano come è vero che mancano strutture aggreganti, palazzetti, auditorium, luoghi della cultura pop, che la politica e gli amministratori si rimbocchino le maniche e trovino i fondi per realizzarle anziché indignarsi.

Io sono abbastanza convinto, e credo che possa valere per il mare, le foreste, la Marmolada, Venezia e anche per il Teatro Greco di Siracusa, che occorra mettere un limite allo sfruttamento esasperato delle risorse. Una sola cosa dovremmo fare con il nostro gioiello di calcare, metterlo nella condizione di resistere altri mille anni e se questo scontenterà qualche sindaco o qualche impresario o qualche regista megalomane delle tragedie, credo che potremmo farcene tutti una ragione.