Egregio Ristoratore,
l’ignobile sbuffo di glassa di aceto balsamico sulla mia porzione di masculino a cotoletta è un’onta che non potrà mai essere cancellata. Mai.
– Buonasera, prego.
– A faciti a minipizza?
– Certo!
– Allora: na minipizza maggherita, una Ulisse meno uovo e più acciuche, una Strompoli e una Quattro fommaggi più funchi e peperoncino.
– Da bere?
– Due birre, nacocacola e na fanta.
– Acqua?
– L’acqua e papiri… ahahahahah.
– Va bene, grazie.
– Scusa, cammeriere…
– Dica.
– Mentre che aspettiamo ci pottasse anche due patatine con le sasse.
Quando ordino il fritto misto e mi portano solo i calamari e io lo faccio presente e il gestore se la prende come se lo avessi offeso o quando, dopo una cena mediocre, il proprietario ti chiede come è andata e se tu gli dici che non è andata poi così bene, risponde sempre piccato “qui non si lamenta mai nessuno” oppure “noi la pasta alla siracusana la facciamo così”. Ok, ma allora non chiedermi niente.
Per non parlare del vino e del rituale dell’assaggio.
– Chi lo assaggia?
– Guardi, non è il caso, è una bottiglia senza pretese, ci fidiamo.
– No, insisto!
Allora ti tocca la pantomima dell’annusata, lo sguardo attraverso il calice, il sorso contenuto e l’immancabile sorriso con cenno d’intesa:” va bene grazie”. Solo una volta ho azzardato un timido “guardi è molto acido e sa di tappo” per ricevere in tutta risposta un perentorio “eh! Non ci posso fare niente, ormai l’abbiamo aperto”.
Caro ristoratore di Noto,
ti scrivo per condividere le terribili sensazioni che ho avuto cenando nel tuo locale. Una location spettacolare e ben curata e una mise en place moderna, lasciavano presagire una cena ricca di soddisfazioni, ma con sommo rammarico, non è stato così.
Dal primo momento ho percepito che dietro quella perfezione stilistica si celava mediocrità e pressappochismo. Avevamo scelto il tuo locale per un festeggiamento importante. Arriviamo alle 21:00, appena seduti qualcuno ci chiede se vogliamo dell’acqua. Scegliamo una naturale e una frizzante. Le bottiglie non arriveranno mai, nemmeno dopo innumerevoli richieste. “Le stanno preparando al banco” è stata l’ultima notizia fornitaci intorno alle 21:45. Ordiniamo seguendo i consigli dello chef, così alcuni di noi virano sulla mirabolante insalata di crostacei e frutti di mare e sugli “strepitosi” spaghetti con le vongole veraci. Sul vino ci dividiamo: alcuni optano per il rosso, altri per il bianco. Ordiniamo due bottiglie: il rosso non è quello che abbiamo scelto, il bianco sembra uscito dal portabagagli di una Panda lasciata sotto il sole nel parcheggio del lido Arenella. Chiediamo spiegazioni e ci viene detto che il rosso scelto è terminato, mentre di bianchi freschi ci sono solo vinacci o bottiglie dal prezzo esageratamente gonfiato. Optiamo per un enorme secchiello del ghiaccio che, posto al centro del tavolo, inibirà qualsiasi tipo di comunicazione tra i commensali non attigui. Intanto, intorno alle 21:30 il tavolo accanto al nostro è occupato da un sindaco della provincia e da altri commensali. Alle 21:35 un cameriere ci comunica che le vongole sono finite, alcuni di noi virano su una semplice pasta alla norma. Alle 22:30 siamo ancora senza cibo mentre il tavolo dei potenti banchetta che è una meraviglia. Chiamiamo il maitre per chiedere delle spiegazioni e lamentarci. Si scusa, ci dice che la cucina è andata nel pallone e ci confida che uno dei commensali seduti con il sindaco della provincia è il proprietario del ristorante e che ha preteso di mangiare prima. Al loro tavolo compaiono perfino gli spaghetti alle vongole. Faccio i miei complimenti sarcastici, propongo agli altri di andare via e optare per un gelato riparatore o una democratica granita con brioche. Nessuno appoggia la mia mozione.
Improvvisamente, cominciano ad arrivare tutti i piatti insieme, non c’è distinzione tra antipasti e portate principali. Il tavolo è già occupato dallo spropositato secchiello del ghiaccio il che rende le operazioni logistiche alquanto complicate. Nel complesso, devo ammettere, abbiamo mangiato veramente male: piatti insulsi, senza amore, senza passione, ingredienti slegati, una cocente delusione. L’insalata di mare è triste, severa, tendente al grigio, con scampi e gamberi di scarsa qualità, le verdure sono insapore; la zuppetta di crostacei e frutti di mare – servita con forchettina e senza cucchiaio – ottiene pareri discordanti: due su tre la trovano orribile, l’altra ne apprezza il sapore, ma è a dieta da un mese e mangerebbe qualsiasi cosa, perfino tondini di ferro. In questa portata gli scampi sono interi ed è veramente difficile aprirli senza procurare piogge e schizzi di guazzetto ovunque. Vedo mia mamma disperata, temo che possa fare scivolare gli scampi dentro la borsa e – come il ragionier Filini alle prese con il tordo alla cena della Serbelloni Mazzanti – pronunciare sollevata: “li ho divorati”. Il polpo croccante su crema di patate era molle e senza crema di patate; gli spaghetti ai ricci una sbobba indegna che nessuno avrebbe mangiato nemmeno in fame chimica.
Insomma, una Caporetto. E mentre in noi montava la rabbia per un servizio pessimo, per i piatti scadenti e per la serata rovinata, il tavolo dei potenti servito e riverito di tutto punto, ci sbatteva in faccia la fotografia sempre attuale di una Sicilia ancorata ai suoi terribili difetti. Abbiamo assistito al corollario di servilismi che hanno fatto sprofondare questa terra nel baratro da cui non verrà più fuori. Scene da corte medievale con vassalli, valvassori e valvassini che si prostrano ai piedi del potente, che levano calici in aria, baci, abbracci, auguri, promesse, menzogne, aliti pesanti, unghie incarnite, sudori, miasmi. Alla fine, per quanto il conto fosse salato e non tenesse conto di tutte le nostre lamentele, è stato un sollievo uscire dal tuo ristorante con la consapevolezza di non tornarci mai più.
Cordialità
Caro gestore siracusano,
non avevo mai pranzato nel tuo locale e mai più lo farò. Ma a ventiquattro ore da quel pasto ho finalmente trovato le parole che non ho avuto l’ardire di dire di persona.
Tu rappresenti l’archetipo dell’esercente “mbrugghiuni” specializzato nel tirare su trappole per turisti. Probabilmente ti riempi anche la bocca con paroloni tipo destagionalizzazione, chilometro zero e finger food e, sono sicuro, hai dato in escandescenza quando hai appreso la notizia del fallimento della Regione Sicilia all’ormai tristemente noto cluster Bio-mediterraneo per Expo. Hai servito cibo di quart’ordine ostentando una grandeur tutta siracusana che nasconde miseria umana e mediocrità assortite. Ad ogni tavolo di turisti hai cercato di vendere cernie di polistirolo da 35 kg, aragoste “freschissime” che galleggiavano moribonde a pancia in su nella vasca, cannoli di ricotta scomposti dal tempo e chardonay barrique dal bidoncino di plastica.
Con noi autoctoni hai dovuto cambiare strategia e hai preferito il mood vittima del sistema: il governo, la regione, il gettone di presenza e tutto il campionario standard che inevitabilmente finisce con le vessazioni del fisco, anche se possiedi un dehors spropositato e fuori norma e alla ricevuta fiscale preferisci il foglietto a quadretti.
Ti sei subito infastidito quando abbiamo rinunciato all’antipasto della casa (due frittatine, tre masculini fritti, 4 olive di numero e 5 decilitri d’olio con frammenti di melanzana fritta) per orientarci subito su una linguina alle vongole e l’altisonante e roboante Millefoglie di gambero di nassa e spatola croccante al sesamo e profumo di tartufo. Hai giurato che le linguine con le vongole sarebbero state in bianco e quando ti è stato fatto notare che così non era, hai replicato serafico dicendo che lo chef le cucina così. Ma il meglio l’hai dato sulla millefoglie che hai servito con gambero surgelato, spatola grondante olio, senza sesamo e senza profumo di tartufo. Interrogato, hai spiegato con una serenità che ho invidiato, che oggi il gambero al mercato non era buono, che la mancanza del sesamo era una dimenticanza (ma potevo averlo a parte senza sovrapprezzo) e che il profumo di tartufo era stato sostituito da quello del fungo porcino. Non ho avuto la forza di replicare e anzi ho ammirato la tua spavalderia nel proporre un piatto e presentarne un altro. Questa non è ristorazione, è sopravvivenza, la tua.
Io non tornerò più nel tuo ristorante ma mi permetto di darti un consiglio. Durante il pranzo, molti clienti si sono lamentati delle zaffate di pesce marcio che provenivano dai cassonetti all’angolo della strada cotti dal sole. Ti sei indignato, hai smadonnato, accusato Igm, puntato il dito contro il Comune sottolineando il tuo disappunto e la volontà di non pagare più la tassa sulla riscossione dei rifiuti. Il problema, come sai benissimo, è che gli scarti di pesce nel cassonetto provengono dalla tua cucina. Ora, non dico che dovresti conferire i rifiuti come prevede la legge, ma almeno hai mai pensato di chiuderli in un sacchetto prima di gettarli o di utilizzare un cassonetto poco più distante?
Cordialità.