La porta delle meraviglie

Mi manca andare a cena nei ristoranti turistici e improvvisati, quelli dove non andresti mai di tua spontanea volontà ma ti ci porta sempre una coppia di amici e tu sei stanco di fare costantemente la parte del rompipalle, di quello che fa il difficile e allora acconsenti e sai già cosa ti aspetterà. L’esasperazione dei coperti, lo spazio vitale ridotto a niente, la pressione antropica tipo megalopoli asiatica per mangiare un piatto di fritto misto in olio esausto, per di più solo con i calamari. Mi mancano le scuse più assurde, la strafottenza, il servizio ai limiti del self service ed i camerieri che sbagliano le ordinazioni. Mi mancano i primi con i frutti di mare con tre cozze biancastre e il piatto pieno di scorce vuote, gli “stricoli” al pesto di pistacchio industriale proposti a 15 euro e l’utilizzo esasperato dei diminuitivi: l’antipastino, i paccheretti, il filettino, il guazzettino, l’arrostino, l’insalatina, la grappetta e il dolcino. Mi mancano i tentativi di imbrusarti il cerniotto di 30 kg da fare alla matalotta, i tentacoli di polpo coriacei, tenaci e giganteschi come quelli di una piovra assassina. Mi mancano le cotture sbagliate e la difesa degli errori fino alla morte, per la serie il cliente ha sempre ragione un cazzo! Mi manca l’incapacità a soddisfare le più semplici richieste: chiedi una pietanza senza prezzemolo e ti arriva sommersa di prezzemolo, ti chiedono se vuoi dell’altro pane e tu dici no, perchè il tavolo è coperto di piattini del giro di antipasti che ancora una volta avete avuto l’ardire di ordinare maledicendovi un secondo dopo averlo fatto e loro ti portano il pane, vuoi un vino e non c’è, ne scegli un altro e ti arriva caldo, il secchiello con ghiaccio però non si può posizionare altrimenti i camerieri non possono passare. MI manca porgere il mio piatto sporco al cameriere, è una cosa che faccio sempre, in qualsiasi occasione, per rispetto di chi sta lavorando. Mi manca osservare la tavolata di 20 turisti tedeschi, allampanati e felici di essersi accomodati ai tavoli di un dehors abusivo in un vicolo di Ortigia, ai quali stanno servendo tutte le rimanenze del frigo e della dispensa. Mi manca, a fine pasto, la domanda del ristoratore: “allora com’è andata?” e il doversi trattenere e rispondere “bene, bene”, perché se solo uno accennasse ad una critica, quello risponderebbe piccato: “Eh, ma da noi non si lamenta mai nessuno!”. Mi manca da morire chiedere il conto con il gesto della penna che scrive in aria, mi manca il conto quando arriva sul foglietto a quadretti, mi mancano i prezzi gonfiati a dismisura e i finti sconti, quel 138 euro cancellato con un colpo di penna Bic e rimpiazzato da 82, sfacciati! Mi manca pagare in contatti e fare le divisioni delle quote con l’iphone. Mi manca tirare fuori il bancomat e chiedere: “ha il pos?” e osservare l’espressione finto sconsolata del ristoratore che risponde sempre: “puttroppo si ha rotto!”.

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