Sono certo che se Rudolf Clausius, padre dell’entropia, fosse passato da via Regia Corte all’orario di entrata (e anche di uscita) degli alunni, avrebbe sorriso sotto i baffi e avrebbe detto: “Minchia! Anni di studio, teorie, esperimenti empirici e poi bastava passare da qui.”.
Non so cosa succede negli altri plessi ma l’entrata (e anche l’uscita) dalla Elio Vittorini è un’esperienza che va al di là del bene e del male.
La scuola, bella, funzionale, moderna – per come può essere moderna una scuola del Sud – ha un piccolissimo problema: sorge in via Regia Corte: un laboratorio urbano dove si testano i limiti della pazienza umana, della fisica dei corpi in movimento e del Codice della strada.
Lì dentro, in quei quattrocento metri scarsi si condensano tutte le leggi dell’entropia in versione motorizzata: genitori che si incastrano in manovre impossibili, clacson che si sovrappongono in una sinfonia di disperazione, bambini che zigzagano tra paraurti e marmitte bollenti che sputano gas di scarico come se fossero in un videogioco sparatutto.
Forse via Regia Corte è a doppio senso, forse no, non l’ho ancora capito. Mezzo asfalto, mezzo sterrato, con pezzi di cuticchioni e di mazzacani enormi che fanno capolino in quelli che dovrebbero essere stalli per parcheggiare e devastano ogni giorno copertoni di Matiz e ammortizzatori di Panda. Niente marciapiedi ma una fila di paletti tristi che dovrebbero delimitare un “percorso pedonale”, regolarmente occupato da scooter parcheggiati di traverso che ricordano l’alienazione di quelle istallazioni di una certa avanguardia artistica dell’Europa dell’Est che può capitare di vedere alla Tate Modern o all’Hamburger Bahnhof.
In via Regia Corte ognuno si sente nel giusto, ognuno “solo due minuti e me ne vado”. L’ho fatto anche io, per esasperazione, per ribellione, per provare l’ebrezza, tanto poi, smetto quando voglio. In realtà quando inizi a sacrificare un po’ di “bene comune” in nome del diritto alla sosta breve e al “non mi scassate la minchia” è già troppo tardi.
A complicare il tutto, come se non bastasse, ci si è messa la questione dei lavori della nuova mensa – quella che doveva essere e che speriamo sarà il fiore all’occhiello della scuola – è stata bloccata dalla Sovrintendenza per via, si dice nel giro del personale ATA, di un graffito a forma di Peparini datato V secolo a.C. Inoltre, negli ultimi giorni anche il problema di alcuni cornicioni pericolanti. Risultato: zona recintata, meno spazio per alunni e genitori e ancora più gente in strada.
Ogni tanto c’è un Vigile urbano che si limita a guardare, come se l’allegra famigliola in scooter in tre senza casco o le auto che tentano improbabili manovre per uscire in controsenso non lo riguardassero. è sempre solo, sembra svogliato ma forse è solo impotente davanti a questo caos. Una volta, a seguito di domande incalzanti mi ha detto: “è il mio primo giorno… il tempo di ambientarmi”. Non lo ha ancora fatto.
Lì fuori, in via Regia Corte, ogni giorno, all’entrata (e anche all’uscita) degli alunni, viviamo impotenti questo Armageddon dove convivono nello stesso metro quadrato, gioia, urla, lacrime, terrore, bambini con lo zaino più grande di loro, papà e mamme con la tuta gold, SUV in retromarcia e capannelli di genitori che si disperano, che protestano e che chiedono a gran voce la chiusura della strada alle auto, all’entrata (e anche all’uscita) degli alunni. È una proposta molto sensata e l’amministrazione dovrebbe seriamente prendere in considerazione, anche perché, l’idea che la viabilità e la sicurezza nei pressi di alcune scuole sia fatta di Zone 30, di aree pedonali e di graffiti con l’arcobaleno, mentre altre sono abbandonate a loro stesse, è francamente insopportabile.
È un discorso di sicurezza, di urbanistica, di termodinamica, di sopravvivenza darwiniana, ci sarà sicuramente qualche direttiva europea a riguardo che il Comune non sta applicando, ma soprattutto è un discorso culturale: le scuole e gli ambienti circostanti andrebbero protetti e preservati e non lasciati nel caos più totale e autoregolati dalla legge del più forte e i bambini, questa cosa la percepiscono ancora meglio degli adulti.
Cos’è la cultura? Mi ha chiesto Bruna mentre tornavamo a casa dopo la scuola. Prima ci eravamo fermati a parlare con i genitori di alcuni compagni di classe su questa situazione ingestibile e a tratti pericolosa all’entrata (e anche all’uscita) degli alunni in via Regia Corte. Mi ha spiazzato, o raccolto le idee e poi ho detto che è l’insieme di tante cose che si imparano, di segni, linguaggi, di regole e di conoscenze che la nonna Teresa ha tramandato a me e io e la mamma cerchiamo di tramandare a lei e lei tramanderà ai suoi figli e così via. Le ho detto che la cultura è il Tempio di Apollo che le piace tanto, la Jupiter di Mozart, Unconditional degli Arcade Fire, le cose che impara a scuola, il potere di ghiaccio di Elsa e la forza d’animo e il coraggio di Anna, fermarsi a pensare, i lieti fine di Peppa Pig, la gentilezza, gli Spielplatz di Berlino, non parcheggiare sulle strisce pedonali anche quando sono cancellate, essere tristi certe volte, il profumo della cotoletta e del pesce d’uovo, le passeggiate in montagna, l’empatia, i bao del koreano, la tv fuori orario con la febbre, andare sott’acqua con gli occhi aperti e la gara di tuffi a bomba. “Quindi la cultura è tutto quello che mi piace” mi ha risposto facendomi sentire molto fortunato. “Sì, dovrebbe essere proprio così, un posto familiare, accogliente, come un mare calmo dove ci si immerge e ci si sente a proprio agio”. “A me il mare piace freddo e la piscina calda!” Ha ribattuto lei. “Ho detto calmo non caldo…” le ho risposto. “Uhm – ha fatto lei – veramente a me mi piacciono anche le onde e tuffarmici dentro…”.









